
Ragusa Sottosopra - Anno XII - N° 5
Storia locale
I mensoloni gagineschi di San Giacomo Maggiore nel Giardino Ibleo
Attraverso documenti d’archivio la storia della loro sparizionePrima salutu a Diu e puoi i Santi,
Appuoi stiennu a manu ritta
E pigghiu acqua biniritta.
M’anninuocciu e viru ‘na luci
Viru Gesù misu ‘nta ‘na cruci
E ‘nta cruci u viru ‘nciuvari.
Mori ‘nu Diu
Ca a saluti ri l’arma ni voli ddunari
E’ questo l’antico saluto che il popolo rende al Crocifisso miracoloso che si venera da secoli nella Chiesa di San Giacomo
Maggiore dell’omonima Arciconfraternita.
Sono note le menomazioni che subì la chiesa a causa del terremoto del 1693 e a queste vicissitudini si aggiunge, dopo 300
anni, la storia della demolizione e ricostruzione del prospetto e dei mensoloni perduti. L’abate Gioacchino Di Marzo, nella sua monumentale opera “I Gagini e la Scultura in Sicilia”, di questi manufatti scrive: “e dello stesso calcare sono altresì
quindici mensoloni con molta ricchezza ed eleganza d’intagli del Cinquecento nella facciata della Chiesa dell’Arciconfraternita
di San Giacomo pure in Ragusa…”; li cita nella nota n.1 del suo commento sulla cona di San Giorgio, o meglio su quello
che di essa rimane, sulla Madonna che oggi si trova nella sacrestia della Chiesa Madre di San Giorgio e sui medaglioni che sono
al museo.
Di questi mensoloni si ha un secondo riferimento nel volume “La Chiesa e l’Arciconfraternita San Giacomo Apostolo in
Ragusa Ibla—la storia, il culto e le tradizioni”(*), il cui testo, prezioso per le molte notizie storiche, ad uso dei
confrati, è stato stampato il 25 luglio 2005 in occasione della festa di San Giacomo.
- il disegno dell’antica facciata con la posizione delle catene messe in opera nel 1894, dove sono pure segnate le lesioni(b);
- il progetto del restauro della chiesa con la pianta del campanile, del pianterreno, del prospetto principale e la sezione trasversale dello spessore della facciata e delle prime due campate dell’aula(c).
La storia inizia nel 1696, quando dopo il terremoto del 1693 si mise mano alla ricostruzione di quella parte della chiesa che fu danneggiata. Come riportano i documenti dell’epoca crollarono le due cappelle a lato del presbiterio, l’alloggio dei mantici, i
locali sul lato destro e anche la facciata.
Il fossato, lasciato scoperto quando fu stravolto tutto l’assetto del giardino adiacente al lato sinistro della chiesa,
lascia a vista fondazioni di muri. Questi resti sono, rispettivamente, i muri di fondazione dell’antica cappella del Crocifisso di cui si vedono nella muratura gli attacchi dell’arco(d), i resti del magazzino e quelli del vano dei mantici(e) dell’antico organo che sporgevano all’esterno del muro. Lo spazio tra il muro della chiesa e il muro di contenimento del sovrastante
giardino era una “lenza”(f), cioè un terreno libero di circa 500 metri quadri, di proprietà della chiesa, che faceva parte del
cosiddetto “orto di San Giacomo e di San Vincenzo”(g).
Nella ricostruzione si inserirono nella facciata 15 grandi mensoloni che provenivano dalla Chiesa di San Giorgio,
parzialmente crollata anch’essa. Considerato il loro numero, ben 15, e le loro dimensioni, si può supporre che essi facevano
parte della facciata e che sostenevano una balconata che si trovava sopra le tre porte: ipotesi che porta a una ricostruzione
del prospetto della chiesa di San Giorgio ben diversa da quelle che si ipotizzano. Questi manufatti avevano due registri: in
quello superiore delle figure, forse anche mostruose, e in quello inferiore dei mascheroni, come si vedono in parecchi balconi di
Ibla. Nel disegno della facciata si distinguono chiaramente; gli scultori, che dopo il terremoto ne hanno realizzati di simili,
devono averli visti sulla facciata della chiesa e presi a modello per le loro opere. Per salvarli dalla distruzione o
semplicemente per ornare la facciata della chiesa, vi furono inseriti ad un’altezza di sei metri e mezzo dal suolo; date le loro dimensioni sporgevano notevolmente dalla superficie della facciata tanto che in occasione della festa del Patrono vi venivano
poste delle luminarie. Questa situazione si protrasse per circa due secoli, ma durante tutto questo tempo la chiesa si cominciò
a deteriorare perché tutta la parte anteriore dell’edificio, compresa la facciata, aveva un difetto di costruzione: la parte
superiore e i due pinnacoli non poggiavano su pilastri o cantonali partendo dalle opere di fondazione, ma direttamente sulle
volte dell’edificio, determinando uno schiacciamento di tutta la struttura.
L’abbattimento di parte della facciata di San Giacomo e la sua ricostruzione hanno costituito un importante avvenimento per la
chiesa, per il Giardino Ibleo e per l’intera cittadinanza, atteso che i confrati appartenevano a tutti gli strati sociali e non
tutti erano d’accordo sulle scelte progettuali. La vicenda, così come risulta dalle carte d’archivio, comincia nel 1893 quando
il presidente dà lettura di una nota del Rettore il quale richiede riparazioni nella facciata che minaccia di crollare. A
seguito di questa richiesta (la nota è andata persa), nel 1893, i confrati, per cercare di salvare la facciata, decidono di
fare effettuare una perizia tecnica. Il Presidente del tempo, Salvatore Bertini, nel maggio di quell’anno, affida al perito
architetto ing. Carmelo Ventura l’incarico della perizia per verificare l’effettiva portata del danno e indicare i rimedi
necessari per sanare le lesioni. Le lesioni verticali, molto vistose, sono segnate nel disegno dell’antica facciata in possesso
dell’Arciconfratenita. L’ing. Ventura il 28 settembre 1893 consegna la perizia, nella quale certifica che vi sono danni
notevolissimi e annota “rimedio efficace e radicale sarebbe la demolizione della prospettiva, od almeno della cantonata
occidente – tramontana, ma non potendo fare tanta spesa è indispensabile adottare un sistema di catene di ferro”. Attribuisce il
deterioramento della facciata e il peggiorare delle lesioni a due motivi concorrenti: la chiesa fu edificata su un piano di
roccia non compatta, e per la sua altezza la parte superiore della fabbrica esercita una spinta che provoca lesioni e rischia di far crollare prospetto e parte del fabbricato, anche con un piccolo movimento tellurico.
Secondo la perizia dovevano essere messe tre catene a telaio collegate da traversine per assicurare una migliore tenuta
di tutto l’apparato. Precisa anche le lunghezze delle catene, i punti in cui devono essere collocate, la profondità dei buchi da praticare nel parato esterno e il costo dell’intera opera che, essendo di poco inferiore a 500 lire, poteva essere affidata
direttamente a una ditta di fiducia ed eseguita in economia.
Poiché l’Arciconfraternita era pressata dalla amministrazione comunale (che nell’eventualità di crollo ravvisava un
pericolo per la pubblica incolumità), essendo in condizioni economiche floride (aveva una rendita superiore a 600 lire l’anno),
nel 1894 fa eseguire i lavori e mettere le catene come da progetto. L’importo preventivato non fu sufficiente e nel 1895
l’amministrazione delibera altre 130 lire necessarie a coprire la maggiore spesa.
Sembrava che queste catene fossero sufficienti ad arrestare le lesioni e ad eliminare il pericolo di crollo. Invece a
distanza di soli 2 anni il problema si ripresenta in forma ancora più grave tanto da vanificare del tutto “il riparo” effettuato e rendere necessario un ulteriore e risolutivo intervento.
Tra il 1894 e il 1897 si erano ulteriormente allargate le crepe sulla facciata e sui due lati est e nord della chiesa che cominciava a presentare lesioni anche nella parte interna tanto da allarmare tutti i cittadini che frequentavano i giardini
pubblici. I confrati, forti delle migliorie apportate, facevano orecchio di mercante e lasciarono lo stato di fatto. Tuttavia il 21 febbraio del 1897 deliberano di conferire un altro incarico all’ing. Ventura, così il 10 ottobre 1897 viene richiesto per la seconda volta al professionista di “riferire sulle urgenti riparazioni da farsi sul lato destro”.
Stranamente, l’incarico restò sulla carta perché non si riscontra nessuna relazione dell’ing. Ventura susseguente a questo
incarico. Passarono cinque mesi senza che nulla si muovesse, poi il 14 maggio 1898 ci fu una scossa di terremoto che aggravò le
lesioni tanto da provocare una protesta dei cittadini, i quali, considerata l’inerzia dell’Arciconfraternita, si rivolsero con
pressante determinazione all’amministrazione comunale tanto da obbligarla ad intervenire. Il 23 maggio 1898 il
Sindaco emette un’ordinanza ai sensi dell’ articolo n.133 della legge comunale e provinciale del tempo nei confronti del
presidente dell’Arciconfraternita Pasquale Di Quattro.
“La prospettiva della chiesa per vetustà e per l’azione degli agenti atmosferici è molto lesionata e presenta un serio
pericolo alla sicurezza dei cittadini, potendo rovinare e apportare gravi danni”, per cui viene intimato al presidente di
demolire e riparare, nel termine perentorio di giorni 15, la facciata della chiesa. E’chiaro che gli agenti atmosferici,
soprattutto il vento, portando semi di piante infestanti che si erano insediate nelle fessure causate dalle lesioni, avevano
contribuito a peggiorare la situazione. Nell’ordinanza si precisa che se quanto richiesto dall’amministrazione venisse
disatteso, i lavori sarebbero stati fatti dal Comune e il presidente avrebbe dovuto rispondere penalmente del suo atteggiamento
omissivo (chiamato nel documento“trasgressione”).
Naturalmente, considerato che i due Comuni erano stati divisi da poco tempo e che alcuni confrati erano presenti anche
nell’amministrazione del comune di Ragusa Inferiore e conoscevano bene la situazione, il presidente dell’Arciconfraternita, su
loro consiglio, fece ricorso contro questa ingiunzione, chiedendo di allungare il tempo concesso nella diffida, non essendo
possibile ottemperarvi in tempi così ristretti. Tuttavia, a dimostrazione che non si cercava di temporeggiare per non fare
nulla, l’amministrazione dell’Arciconfraternita il 20 maggio, ancor prima della diffida, si premurò di incaricare il geom
Pinelli di redigere una relazione di perizia, che venne presentata il 25 maggio 1898.
(*) Autore Giorgio Mallemi, Segretario dell’Arciconfraternita di San Giacomo
Autore: Andrea Ottaviano
(fine prima parte)

Chiesa di S.Giacomo

Particolare facciata

Il disegno dell'antica facciata (b)

Antica tavola progettuale di restauro della chiesa (c)

Lato sinistro: tracce di fondazioni di muri (d)

Lato sinistro: i resti del magazzino e del vano mantici (e)

Spazio tra il muro di sinistra della chiesa e il muro di contenimento del giardino (f)

Orto di S.Giacomo e di S.Vincenzo (g)
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