
Ragusa Sottosopra - Anno XII - N° 5
La Pubblicazione
La Cava della Misericordia
Il libro di Salonia descrive anima, corpo e storia di una delle cave più suggestive degli ibleiAl di là dell'apparenza tutta oggettiva, geografica e naturalistica, se mai segnata dalle tracce umane che la storia vi ha impresse, questo libro è un'autobiografia. Ma di questo genere letterario esso non ha lo stucchevole difetto di dovere ascoltare un uomo che non sa parlare che di se stesso. Egli parla invece più volentieri e più efficacemente di ciò che ama. Pippo Salonia mette tutto il suo animo nella descrizione della Cava della Misericordia, in cui vedeva trascorrere il tempo con le sue stagioni, istruito dagli insegnamenti del padre che gli trasmetteva non solo nozioni di scienze naturali, di esperienze climatiche ed astronomiche, ma gli comunicava antichi saperi, per condividere con lui profondi valori di vita. Che magra figura l'indottrinamento di certa nostra scuola di fronte alla ricchezza di questo insegnamento patriarcale. Ma non c'è in Pippo Salonia nessuna polemica contro la cultura istituzionale, anzi con profonda e reverente umiltà egli trae da essa gli strumenti più rigorosi ed adatti a mettere nella luce migliore l'oggetto del suo amore: “La Cava della Misericordia”.
E se la parola non bastasse egli si avvale dell'occhio magistralmente fotografico di Guido Fava, che come lui ama profondamente la “Misericordia” da trarne infiniti scatti; e scegliere fra di essi è stato di grande imbarazzo. E però le immagini di Fava integrano mirabilmente il testo evitando accuratamente il rischio di togliere la suggestione del mistero a soggetti ricchi di fascino, come è il caso della Grotta del Gigante immersa in un buio impenetrabile, appena rischiarato dalle torce che illuminano cunicoli che si aggiungono a cunicoli, che sembrano diramazioni di gallerie interminabili che hanno alimentato la leggenda secondo cui la grotta mette in comunicazione le due cave della Misericordia e del Paradiso. Nella prima di queste camere che si susseguono “abbastanza alte e larghe”, e ciò malgrado “non si può stare a proprio agio per la presenza di pietre divelte dal suolo e di massi staccatisi chissà quando a causa delle infiltrazioni d'acqua”, la luce del sole non può arrivare, “anche se poi, adattandosi all'oscurità, si nota un leggero chiarore che fa capire la vicinanza dell’ uscita”. Ebbene, il nostro Fava ha reso a meraviglia quel leggero chiarore che arricchisce di toni guccioniani il buio della grotta. O come è il caso dell'acqua fresca che sgorga nella "Francalanza", una lenza della cosiddetta Cavalunga alla confluenza di un torrente che lambisce antichi mulini.
Fava sa ritrarre i riflessi della sorgente, e sembra vederla sgorgare da sotto la roccia, scorrere fra muschio e capelvenere, confluire nel torrente: limpida e fresca, basta immergere le mani per bere. “E' una esperienza piccola, ma rara: vedere con i propri occhi una sorgente!”. L'occhio di Fava è portentoso: si possono contare le foglie del capelvenere e i ciottoli sotto
il pelo dell'acqua.
Ma altrettanto portentosa è la capacità di evocare dai ruderi o da un cancello arrugginito la vita che un tempo animò
quei mulini che ora ci parlano delle laboriose fatiche dei mugnai.
E il Convento della Misericordia, legato nel nome alla Cava, è descritto da Pippo Salonia con mano leggera fra leggende e
ricordi che diventano racconto, come quello di Fra' Bartolomeo vessato in vario modo dal barone proprietario che non vedeva di buon occhio le questue spesso sconfinanti con le ruberie di questi frati birboni e briganti che gli svilivano il podere.
Ancora una volta l'occhio del fotografo, dopo una veduta inevitabile del Convento, restaurato in mezzo ai pini della Forestale
e al sottobosco autoctono, si sofferma più utilmente su dettagli circostanti, che ci suggeriscono la realtà storica del
manufatto. Certamente la vita “stantia” dell'Eremo, le cui terre producevano un reddito neanche sufficiente al mantenimento di un solo individuo, indusse spesso in tentazione i frati, e se non sono da accogliere le dicerie popolane, che raccontano di
donne violentate, uccise e sepolte nell'orto, “tuttavia alcuni atti negativi in quel luogo sicuramente furono compiuti e fra
questi uno molto grave: l'uccisione la sera del 26 settembre 1730 di Giovanni Battista Scrivano o Scribano". L’ uomo era alla
Misericordia perchè si procacciava il pane lavorando le terre di Mario Sciuria, che teneva in gabella, e la fiumara di don
Raimondo Flaccavento. A ucciderlo con una “scopettata” fù Fra’ Pasquale Lo Iacono, soprannominato “Panaro”, monaco eremita del Convento.
Il racconto dell'episodio scorre romanzesco sulla scorta dei documenti conservati nell'Archivio di San Giorgio in Ragusa Ibla. Davvero una pagina vivissima di cronaca nera già delineata da Giuseppe Arezzo, responsabile dell'Archivio Storico (Ragusa Sottosopra - anno VII n. 2), e integrata da altri documenti consultati da Pippo Salonia. E la vicenda al di là dell'uccisione,
che poteva anche configurarsi come un omicidio preterintenzionale, getta per altri dettagli una luce sinistra sulla figura di
Fra’ Pasquale, ma anche sulla figura di quel che si ritiene il fondatore dell'Eremo: Padre Filippo Puglisi, anche lui
coinvolto in ruberie culminate in un omicidio nei confronti del Chierico Spataro e per cui era stato condannato in
contumacia e scomunicato il 20 settembre 1712.
Ma la parte, in un certo senso, più preziosa della ricerca di Salonia è quella relativa alle acque della Misericordia. Egli costruisce con grande precisione documentaria la storia dell'acquedotto di Ragusa Inferiore a partire dal 1896 quando il mitico sindaco Raffaele Solarino individuò l’unica sorgente d'acqua limpida “che sgorga dalla roccia ed è sicuramente non inquinata...nella Cava Misericordia...” anche per la disponibilità del signor Raffaele Bertini, che consentiva “gentilmente” l'utilizzo di parte dell'acqua di sua proprietà, dietro amichevoli accordi. Ma le cose si complicheranno per le rivendicazioni di Luigi Bertini, fratello di Raffaele, che porteranno ad una causa contro il Comune iniziata nel 1920. Al Bertini si associavano i proprietari dei numerosi mulini della Cava di cui Salonia fa una accurata ricognizione catastale, arricchita da vivi ricordi e testimonianze che gettano luce su uno spaccato di vita vissuta di un settore produttivo particolarmente importante per la vita della Ragusa dei primi decenni del Novecento. La vicenda della causa fra proprietari e Comune di Ragusa Inferiore si allargò al conflitto fra il Comune di Ragusa Inferiore e il Comune di Ragusa quando “l'ingegnere Mario Spadola...il 27 settembre 1924 redigeva il progetto per l'acquedotto che doveva rifornire di acqua potabile il Comune di Ragusa Superiore”. Contro il progetto che prevedeva il prelevamento dell'acqua della sorgente Misericordia “nel territorio di Ragusa Inferiore”, ci fu una vera sollevazione della popolazione di Ibla, che minacciò una pubblica manifestazione. La cosa fu gettata in politica. E secondo il Commissario di Pubblica Sicurezza “gli avversari politici dell'attuale amministrazione insieme ai proprietari dei mulini”, che vedevano a rischio “l'alta rendita che percepivano dall'affitto dei mulini”, sobillavano la popolazione facendo credere che il Comune di Ragusa, avvalendosi della protezione politica del Pennavaria contro Salvatore (Totò) Giurato, tentava di usurpare l'acqua a Ibla”. Per il Commissario stesso, Giurato era mosso da “rancori e odio contro l'onorevole Filippo Pennavaria”, ritenuto “responsabile dell'attuale stato di cose”. Contro il progetto nel dicembre del ‘24 il Sindaco di Ragusa Ibla notificava alla Vice Prefettura il ricorso, mentre a Ibla si costituiva perfino un Comitato di difesa cittadina che dava alle stampe un libretto con delle riflessioni acute e dettagliate sulla situazione idrica nella città di Ragusa. Alla fine la cosa fu composta cercando di non scontentare nessuna delle parti. Ma forse il risentimento nei confronti di quello che per gli abitanti di Ibla era considerato un sopruso da parte del Comune di Ragusa Superiore fu una delle ragioni dell'ostinata opposizione di Totò Giurato e Totò Battaglia contro i pennavariani fascisti opportunisti della seconda ora.
Invero il fascismo rivoluzionario della prima ora nel 1926 aveva già fatto il suo tempo, e la famiglia Bertini, che si vantava tra i fondatori del Fascio Ibleo e per cui don Luigi nella sua lotta contro il progetto di Spadola si appellò direttamente a Mussolini, dovette amaramente constatare come le lungaggini burocratiche dell’ Italietta democratica del primo dopoguerra avessero ripreso intatta la loro efficacia e costituissero un vero muro di gomma contro cui rimbalzò per anni, “invano implorando che giustizia sia fatta dopo cinque anni di continui viaggi fatti al Comune e a casa dell’ ing. Spadola”. Il regime non aveva più bisogno nel 1929 dell'appoggio folcloristico delle squadracce, e l'appello del Bertini “fascista ed organizzatore insieme a Totò Battaglia e Totò Giurato del primo fascio di combattimento in provincia di Siracusa” era destinato a cadere nel vuoto. La convinzione originaria di Luigi Bertini, di essere un ricco potente e sentito proprietario terriero, si volatilizzava come piuma al vento. Anche la stagione dei mulini ad acqua era, comunque, al tramonto. Proprio in quegli anni, infatti, cominciavano ad essere impiantati nella nostra città, soprattutto a Ragusa Superiore, i mulini meccanici.
Salonia ci racconta dal di dentro, e quindi con maggiore valore testimoniale, un episodio periferico, ma non per questo meno significativo, di quel conflitto interno tra un fascismo rurale e letterariamente rivoluzionario e quello molto più pragmatico ed efficiente del fascismo legato al capitalismo finanziario ed industriale. L'episodio mostra la sconfitta definitiva e irreversibile, anche se a volte con i caratteri di lenta agonia, del ruralismo che rimase soltanto nell’ oleografico petto ignudo del Duce condottiero della battaglia del grano, di cui menavano sempre più vana gloria gli agricoltori ragusani negli attestati di produzione. A uscirne vincitore incontestato a Ragusa fu Filippo Pennavaria, rampollo di una famiglia di accorti banchieri ed efficace promotore di una industria edilizia e mineraria praticamente di Stato, che avrebbe fatto la fortuna di nuovi ceti che subentrarono ai vecchi proprietari di rendite rurali delle colture irrigue delle cave come la famiglia Bertini.
Autore: Giorgio Flaccavento
Nota: Le foto di Guido Fava sono tratte dal libro (in fase di stampa)
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