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Donnafugata: masseria fortificata, casina neoclassica, castello neogotico, riflessioni su una mutazione
Gli Arezzo
				     del resto avevano continui contatti con Palermo, infatti oltre a possedervi degli immobili è stata in altre occasioni 
								menzionata la formazione di Corrado presso i Filippini.
 
        del resto avevano continui contatti con Palermo, infatti oltre a possedervi degli immobili è stata in altre occasioni 
								menzionata la formazione di Corrado presso i Filippini. 
        Nel progetto neogotico, decisamente più ambizioso, a definire nel complesso la struttura confluisce anche il modello 
								medievale del castello turrito che si staglia cintato a sovrastare il borgo rurale che lo circonda. Ma l'idea di 
								organizzare in piccolo	borgo le case sparse che dovevano trovarsi intorno alla casa padronale risale comunque 
								già al progetto neoclassico dell'edificio.
        
Resta comunque incontrovertibile il fatto che questa tipologia che sintetizza percorso assiale, corte a esedre e 
								struttura a recinto non trova analogie nel diffuso modo di costruire in area iblea.
        
Non sappiamo quanta parte del progetto neoclassico giunse a compimento, certo è che da una determinata data venne
								soppiantato dal ben più ambizioso progetto di castello neo-medievale, il cui lungo cantiere dovette occupare alcuni 
								decenni del secolo Ottocento. Protagonista sembra essere una personalità affascinante e colta quale fu Corrado Arezzo, 
								poliedrica figura di uomo politico, imprenditore, militante antiborbonico, poeta, pittore.
     
In prima istanza, emerge il ritorno del modello abitativo del castello in pieno Ottocento, quando erano venute meno in 
					   buona parte del condizioni che dal Medioevo in poi avevano portato alla diffusione di questa tipologia, difensiva per    
								antonomasia.
        
Si spiegherebbe così l'apparente contraddizione di Donnafugata tra l'aspetto turrito e chiuso e la sostanziale 
								apertura verso il paesaggio. Apparente proprio perchè oramai priva di concreta funzione difensiva.
        
Edificio-simbolo, quindi, non più del potere feudale ma del potere aristocratico e, non ultimo, del bagaglio 
								letterario del committente, intriso di suggestioni romantiche.
     
Rivoluzionario e insieme contraddittorio appare il castello ottocentesco, specie se si pensa ai presupposti teorici da 
					   cui emerge, quella tabula rasa che negli ultimi decenni del Settecento i filosofi invocavano come condizione originaria 
								della nuova architettura. Un'architettura che avrebbe dovuto rinascere quale unicum inscindibile di funzione e bellezza 
								che non nascondeva anzi si sostanziava di valenze politiche e sociali. Architettura come mezzo e non più fine, 
								manifesto programmatico, prodotto di per sè elitario oltre che destinato ad un elite.
        
E quale altrimenti l'istanza alla base di una simile scelta da parte di un committente come Corrado Arezzo di 
								chiara fama locale e di esteso potere politico. Quale se non quel coacervo di ostentazione di potere, citazioni colte e 
								sarcastica derisione degli avversari, leggibili tra le scelte architettoniche e i percorsi del parco.
    
Due sono, pertanto i principali fronti nell'ambito dei quali inquadrare il "caso Donnafugata" nella sua 
				   peculiare doppia 
				    consistenza di architettura della pietra e architettura del verde. Individuandone i rispettivi riferimenti culturali e 
							gli eventuali modelli iconografici.
							consistenza di architettura della pietra e architettura del verde. Individuandone i rispettivi riferimenti culturali e 
							gli eventuali modelli iconografici. 
       
Il parco di Donnafugata raccoglie elementi architettonici e decorativi mutuati da  vari repertori stilistici: dal  
							neogreco del portico ionico della Coffee-House, addossato ad un finto rudere neoromanico, al neoromano tempietto 
							circolare cupolato soprastante una grotta dai rimandi ancestrali; dalle sfingi neoegizie poste a guardia della scalinata 
							di accesso al castello, alla neogotica cappella immersa nel verde, sino al labirinto, topos letterario ed artistico. 
							Convivono a diretto contatto le passeggiate solitarie e i percorsi corali, la vegetazione utilitaristica locale e quella 
							atta a produrre i "commovimenti" di cui parlava il Silva, in una sorta di "naturalità" artificiale e 							
							naturale insieme, orchestrata in percorsi diversificati e armoniosi.
   
Gli stili del passato giungono al presente ottocentesco come monolitici ed unitari sistemi, non più declinabili 
			   intrinsecamente, ma composti in un insieme definitivamente affrancato dal suo contesto storico e manipolato criticamente 
						dall'artista che se ne avvale per comunicare delle "idee" attraverso i più svariati accostamenti. Un grande 
						patrimonio ereditato da cui attingere forme, cui oramai era impossibile disgiungere "significati", da utilizzare per 
						un'architettura nuova e moderna.
      
In questa peculiare molteplicità di linguaggi, il giardino di Donnafugata si allinea con le tendenze 
						polistilistiche che caratterizzarono prevalentemente i cimiteri ottocenteschi, dove sfingi alate si sposavano ad obelischi e 					
						piramidi, così come la statuaria di tipo classico si incontra con il neogotico o il neoromantico delle cappelle 
				  gentilizie.
		 
pag. 4
							Tutto il materiale è tratto dal testo "Donnafugata il castello" edito da: Filippo Angelica Editore
       
I testi sono a cura di: Carmelo Arezzo, Gaetano Cosentini, Milena Gentile, Biagio Guccione, Giacometto Nicastro
       
Le schede Botaniche sono di: Tiziana Turco Le Foto di: Giuseppe Leone
       
Si ringraziano l'editore e gli autori per la gentile concessione
					

 
     
             
             
             
             
            
 
       
       
       
      
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