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Castello di Donnafugata

Donnafugata: masseria fortificata, casina neoclassica, castello neogotico, riflessioni su una mutazione

Nonostante ingrandisci le pubblicazioni e le guide sul castello di Donafugata siano oramai molteplici, numerosi quesiti rimangono ancora irrisolti. Sono stati già evidenziati fattori condizionanti la nascita e lo sviluppo del complesso, come il ruolo delle preesistenze o la colta attività dei proprietari committenti, ma sinora non si conoscono con precisione le date di edificazione delle fabbriche, nè i nomi di eventuali architetti coinvolti. E' strano che nessun documento significativo, almeno per quanto a conoscenza di chi scrive, sia emerso e reso pubblico su una costruzione notevole (anche solo per le dimensioni). Vediamo tuttavia di tentare una analisi più dettagliata delle limitate fonti certe per dare un senso alla storia di una costruzione che nel complesso e diversificato panorama dell'Eclittismo europeo a cavallo tra le due metà dell'Ottocento, si pone come caso degno di nota al di là dei limiti geografici in cui è circoscritto.

Il binomio castello-giardino è innanzitutto un fenomeno ottocentesco cosi' diffuso da costituire un "caso" storico. Si pensi ingrandisci al fatto che esempi di "castelletti neogotici" dotati di giardini intra moenia sorgono per lo più nello stesso periodo in differenti parti della Sicilia: da Donnafugata a Rampinzeri, da Falconara a Riesi, i casi più noti. A Palermo, l'ambiente più colto ed esterofilo già dagli ultimi decenni del XVIII secolo aveva avviato la lunga stagione del revival neogotico che avrebbe visto le ultime propaggini estinguersi solo in pieno Novecento. Nel contempo molti esponenti della nobiltà si dedicavano nei propri parchi alle sperimentazioni botaniche ed agrarie. Sono state individuate due priorità nell'ambiente architettonico palermitano che avrebbe visto la fioritura dei "neostili": la presenza alla fine degli anni ottanta del Settecento del "neocinese", non più come mero fenomeno di moda decorativa, e la presenza del "neomedioevo" negli anni venti dell'Ottocento. Entrambi fenomeni da ricondurre all'incidenza della figura di Giuseppe Venazio Marvuglia, personaggio in grado di parlare ogni lingua architettonica e dalle frequentazioni internazionali.
Persino per Massimiliano d'Asburgo e il suo castello-parco di Miramar presso Trieste (peraltro contemporaneo al nostro, se si pensa che l'acquisto dei terreni ebbe inizio nel 1856) i modelli di riferimento furono proprio i giardini palermitani: l'Orto Botanico, Villa Giulia, l'Olivuzza, La Favorita.

La storia di Donnafugata è soprattutto una storia dell'Ottocento.
In questo secolo si verificano radicali trasformazioni e certamente si susseguono o si accavallano più ipotesi progettuali . Quanto è giunto sino a noi sembra essere il frutto problematico di un cantiere che attraversa quasi un secolo e che presenta non pochi elementi contraddittori.
Ma come era Donnafugata al momento in cui gli aristocratici Arezzo decisero di mutarlo in residenza di campagna.
Si trattava quasi certamente di un modesto baglio (come ne esistono tanti in area iblea) che conteneva al suo interno una struttura più antica, una torre. Non si possiedono elementi certi sulla cronologia di queste ipotetiche fabbriche, se non l'anno in cui Vincenzo Arezzo fu investito con privilegio del 25 febbraio 1648 del titolo di primo Barone di Donnafugata.

La data di fondazione dell'insediamento o quella in cui la fabbrica abbia acquistato la consistenza di masseria fortificata (XVIII secolo probabilmente) è, comunque, di relativa importanza, perchè certamente costituitasi in più riprese e per successive aggregazioni come è usuale che avvenga nelle architetture di questo tipo, le cui componenti sorgono, si aggregano e si trasformano in funzione della loro destinazione utilitaristica.

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Tutto il materiale è tratto dal testo "Donnafugata il castello" edito da: Filippo Angelica Editore
I testi sono a cura di: Carmelo Arezzo, Gaetano Cosentini, Milena Gentile, Biagio Guccione, Giacometto Nicastro
Le schede Botaniche sono di: Tiziana Turco     Le Foto di: Giuseppe Leone
Si ringraziano l'editore e gli autori per la gentile concessione


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