 
        
        
  Castello di Donnafugata
Il Castello incantato
								Intanto la	memoria. Correvamo lungo i viali del giardino, incuriositi 
        dai 
				     giochi d'acqua, e alla ricerca delle invenzioni grottesche delle quali tante volte ci avevano raccontato.Nel 
								ricordo tornano le immagini del monaco destinato a spaventarti, salendo il vecchio gradino malandato, dietro 
								l'improvvisa apertura del portone; oppure quelle delle stalattiti e delle stalagmiti di sughero, millantatori speleologi
								dentro la grotta falsa, anch'essa inserita nel mosaico  delle pantomime di un fantasioso castellano. E poi 
        ci perdevamo dentro il labirinto, gridando la falsa paura per un'impossibile uscita alla luce e alla vita: a volte - è 
								sempre il ricordo a giocare le sue carte - se eravamo in compagnia dell'amica del cuore, ci capitava di sperarlo di 
								restare intrappolati, chiusi tra un angolo e l'altro degli alti muri, e cacciati via come topi in trappola contro 
								l'angolo del fondo di bottiglia, un atteso e ricercato "cul de sac".
								giochi d'acqua, e alla ricerca delle invenzioni grottesche delle quali tante volte ci avevano raccontato.Nel 
								ricordo tornano le immagini del monaco destinato a spaventarti, salendo il vecchio gradino malandato, dietro 
								l'improvvisa apertura del portone; oppure quelle delle stalattiti e delle stalagmiti di sughero, millantatori speleologi
								dentro la grotta falsa, anch'essa inserita nel mosaico  delle pantomime di un fantasioso castellano. E poi 
        ci perdevamo dentro il labirinto, gridando la falsa paura per un'impossibile uscita alla luce e alla vita: a volte - è 
								sempre il ricordo a giocare le sue carte - se eravamo in compagnia dell'amica del cuore, ci capitava di sperarlo di 
								restare intrappolati, chiusi tra un angolo e l'altro degli alti muri, e cacciati via come topi in trappola contro 
								l'angolo del fondo di bottiglia, un atteso e ricercato "cul de sac". 
     
							
Nella memoria dell'infanzia, quando - prima  che il castello diventasse di pubblica fruizione - una catena di agganci e di 
							amicizie ci faceva ottenere il permesso per una visita, per una domenica diversa. E nello stemmato cortile, davanti alla scala 
							imperiale e possente, ci perdevamo, correndo, in rumorosi rimpiattini che lo stato di ospiti privilegiati rendeva possibili 
							(anche se certo non meno fastidiosi per gli abitanti del castello).
    
					E quando stanchi, un angolo del cortile ci accoglieva sudati, cominciava il gioco degli indovinelli, lo scambio 
					   inesistente degli scioglilingua, oppure il divertimento dell'immaginazione per sognare la vita che il castello aveva 
								ospitato nei secoli passati, le grandi  feste, le dame eleganti, i cavalieri, che si trascinavano "l'armi, gli amori" che 
								qualcuno più grande, sorvegliante tra il cerbero e l'accomodante, si dilettava a citare con un pizzico di ostentata 
								cultura da orecchiante. Ma erano le immagini dei cani e dei gatti che si rincorrevano tra le basole e si nascondevano 
								dietro gli orci, o dentro i magazzini, a coinvolgerci ancora di più. E Il castello di Donnafugata, così nella memoria 
								di una infanzia ormai lontana, non esibiva architettura o arredamenti, lussi o ricchezze, quanto piuttosto le 
								tradizionali scontate abitudini della vita di campagna (e c'era in ognuno di noi ancora intatto allora, gli annì 50, il 
								gusto della villeggiatura), come amplificate pero' dagli spazi enormi di un luogo monumentale. 
               
    Sulla sera, quando il tramonto dietro le fronde dei carrubeti intorno,  lasciava spazio al buio ed ad un cielo stellato (
				   "il cielo stellato sopra di noi" di Kant), allora restava solo da scoprire le mani delle donne che lavoravano i 
							ricami e che creavano gli sfilati, mentre da un altro angolo del cortile arrivava fumante l'odore della minestra e magico
							il profumo di insalate trionfanti di pomodoro e sedano.
 feste, le dame eleganti, i cavalieri, che si trascinavano "l'armi, gli amori" che 
								qualcuno più grande, sorvegliante tra il cerbero e l'accomodante, si dilettava a citare con un pizzico di ostentata 
								cultura da orecchiante. Ma erano le immagini dei cani e dei gatti che si rincorrevano tra le basole e si nascondevano 
								dietro gli orci, o dentro i magazzini, a coinvolgerci ancora di più. E Il castello di Donnafugata, così nella memoria 
								di una infanzia ormai lontana, non esibiva architettura o arredamenti, lussi o ricchezze, quanto piuttosto le 
								tradizionali scontate abitudini della vita di campagna (e c'era in ognuno di noi ancora intatto allora, gli annì 50, il 
								gusto della villeggiatura), come amplificate pero' dagli spazi enormi di un luogo monumentale. 
               
    Sulla sera, quando il tramonto dietro le fronde dei carrubeti intorno,  lasciava spazio al buio ed ad un cielo stellato (
				   "il cielo stellato sopra di noi" di Kant), allora restava solo da scoprire le mani delle donne che lavoravano i 
							ricami e che creavano gli sfilati, mentre da un altro angolo del cortile arrivava fumante l'odore della minestra e magico
							il profumo di insalate trionfanti di pomodoro e sedano.
    
				
Solo più tardi avrei scoperto la valenza architettonica del castello, del maniero voluto da Corrado Arezzo, senatore del 
							Regno, e poi ulteriormente ampliato dai Lestrade, quando l'acquisizione al patrimonio comunale del 
				   castello e del parco e l'avvio di una lenta ma febbrile azione di recupero e di restauro, oggi felicemente portata ai  
							primi visibili traguardi, ne ha fatto non solo un monumento presente nel territorio, nella bella campagna 
							iblea, ma anche un'attrattiva turistica sulla quale puntare per lo sviluppo e la crescita della economia provinciale.
  
			
Caratterizzato da un'architettura insolita, esempio affascinante di un mirabile eclettismo, risultato della successione e 
						della sovrapposizione di interventi voluti dai diversi proprietari, ma certamente non estraneo al gusto dello stesso 
						Corrado Arezzo, con la sua voracità culturale e la sua variegata poliedricità d'interessi, ma anche 
				  ricco di particolari preziosi, destinati ad affiancare ampi spazi luminosi a tutto un gioco interno di ambienti incastonati 					
						l'uno nell'altro in un mosaico di tessere, il castello di Donnafugata è esempio emblematico di quella attenzione delle   
						famiglie aristocratiche siciliane per la casa di campagna, sorta di elegante dimora del proprietario per molti mesi 
						dell'anno, ma anche luogo deputato per sorvegliare e verificare l'andamento agricolo del latifondo.
			
pag. 1
Tutto il materiale è tratto dal testo "Donnafugata il castello" edito da: Filippo 
							          Angelica Editore
			              
I testi sono a cura di: Carmelo Arezzo, Gaetano Cosentini, Milena Gentile, Biagio Guccione, Giacometto 
														   Nicastro
		               
Le schede Botaniche sono di: Tiziana Turco Le Foto di: Giuseppe Leone
			              
Si ringraziano l'editore e gli autori per la gentile concessione
					  

 
     
             
             
             
             
            
 
       
       
       
      
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