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Ragusa Sottosopra

n.1 del 11/02/2008

Il Barone Don Mario Leggio

Giorgio Veninata, Esperto in storia locale

foto articoloLa biografia lacunosa tratteggia una figura complessa nella storia ragusana a cavallo tra '600 e '700
In questo numero pubblichiamo la prima parte della ricerca storica condotta da Giorgio Veninata
Non è facile scrivere di Mario Leggio che la tradizione popolare e soprattutto la storiografia di fine Ottocento ci presentano come il principale artefice della ricostruzione (per estensione) di Ragusa sulle colline del Patro subito dopo il terremoto del 1693.
Scarsi e frammentari i dati biografici a nostra disposizione e nessuno che faccia riferimento al ruolo avuto nella fondazione del nuovo centro abitato o alla sua posizione all'interno della comunità ragusana in quegli anni. Pertanto, da un lato l'assenza, pressoché totale, di tali riferimenti e dall'altro, invece, la persistenza della sua figura nella memoria collettiva creano obiettive difficoltà nella individuazione della sua identità “storica”.
L'UOMO
L'erudito locale Emanuele Antoci così ce lo descrive nel libro dal titolo “Il Barone don Mario Leggio Schininà - Una storia del Settecento” pubblicato nel 1904 da Piccitto & Antoci, una storia romanzata nella quale si alternano, oltre ogni dire, vicende amorose, intrighi legali, persecuzioni inquisitorie, maghi e fattucchiere: “Era Mario, figlio del ricco barone don Giacinto Leggio e della baronessa Antonietta Schininà, un giovane di nobile presenza e de' più colti e più degni della Contea. Aveva compiti gli studi del diritto, e da tre anni (ci riferiamo all'ultimo decennio del sec.XVII) era dottore, come dottori erano i suoi avi, e alcuni anche giudici della Curia di Appello”e più in là “è un giovane di pronto ingegno, e de' più lodati della Contea; si farà presto avanti; e non già per egoistica ambizione, e per vie coperte, con iscaltrimenti; ma con la parola franca e nobile, e per il vantaggio de' suoi concittadini” per finire, in una sorta di apoteosi finale in un immaginario discorso rivolto dal Leggio “con nobile gesto e con voce alta e limpida” ai cittadini superstiti del terremoto del 1693 per indurli a ricostruire la città sulle colline del Patro dove “c'è aria, c'è spazio e c'è salute e dove potremo facilmente giovarci delle acque potabili che sgorgano abbondanti nelle alte pendici settentrionali”.
Successivamente - prosegue lo stesso autore - il Leggio edifica il proprio palazzo sulla strada maestra su un suolo offerto dalla deputazione cittadina e per “consacrare il suo tempo, il suo affetto e i suoi pensieri alla cara città nascente, ricusa l'ufficio di sindaco a favore del degno dottor Ignazio Garofalo”.
Il romanzo si conclude addirittura enfaticamente con la quasi “beatificazione” dello stesso : “Sia dai riconoscenti posteri il suo nome in eterno benedetto e glorificato”.
Questa la versione dei fatti, universalmente e direi acriticamente da tutti accettata, del resto già propria della tradizione popolare con il noto ritornello, riportato dal dott. Raffaele Solarino nel secondo volume della sua “Contea di Modica”:
A su Patru si fannu na citati
Cu' iurici, iurati e straticò.
Baruni Lieggiu va tracciannu strati,
e Gialofru cunsigghia comu po'.
Ma virrà iornu ca st'Ebrei vattiati
Si farannu lu Papa a muoru so'.

Alla luce della documentazione esistente la realtà appare in più parti diversa dal racconto, anche se, come già detto, la mancanza di alcuni dati essenziali impediscono una esauriente ricostruzione storica. Scarsi i riferimenti biografici a nostra disposizione, essendo assenti dai registri della sua parrocchia di San Giovanni Battista le date di nascita e di morte.
Per quanto riguarda il primo dato mancante (la serie dell'index baptizatorum relativa a quegli anni è molto lacunosa) è probabile che Mario Leggio sia nato intorno agli anni che vanno dal 1648 al 1650; egli era comunque il figlio primogenito del medico Giacinto Piluso Leggio, nato il 29 luglio 1617 e morto nel 1694/95, e di Antonina Schininà, che avevano foto articolocontratto matrimonio nella Chiesa di San Giovanni Battista il 20 maggio 1646 ed ebbe come unico fratello il chierico Ignazio Leggio nato nel 1653 e morto celibe all'età di 58 anni il 20 marzo 1711.
Quindi, contrariamente a quanto asserito dall'Antoci, Giacinto, padre di Mario, non era in possesso di alcun titolo nobiliare; anzi, primo della sua famiglia, aveva aggiunto al cognome Piluso quello di Leggio che, in precedenza, era stato soltanto un soprannome.
Ci troviamo, comunque, in presenza di un'agiata famiglia di agricoltori e allevatori di bestiame che già, nei primi anni del Seicento, aveva raggiunto un considerevole grado di benessere, come si evince dai “riveli” del 1607 che citano tale Giuseppe Piluso alias Leggio, nato il 30 ottobre 1585, che sarà poi padre del medico Giacinto che, insieme ai suoi cinque fratelli, di cui due sacerdoti, abita in una casa composta da cinque “corpi” nel quartiere degli Archi: essi, inoltre, sono titolari di una buona estensione di terre soprattutto nelle contrade Tesauro e Buttino dove gestiscono insieme una rilevante “masseria”.
Con ogni probabilità si tratta di quello stesso Giuseppe che in data 28 aprile 1640 prenderà in affitto, in società con i fratelli Giuseppe e Giorgio Frasca alias Fracassa, la tenuta di “Ciloni”ancora di proprietà di Giulio e Carlo Tomasi da tempo insediatisi a Palma di Montechiaro.
A sua volta Giuseppe risulterebbe essere figlio di tale Filippo lo Piluso (sic!) citato dai “riveli”del 1593 fin d'allora proprietario del fondo Tesauro, esteso dieci salme, dove alleva una discreta quantità di bestiame bovino ed ovino e di una modesta dimora di tre vani, dove abita con la famiglia, sita nel quartiere della Mocarda.
Ma tornando al nostro Mario Leggio, che risulta essere il primo a non premettere al proprio cognome quello originario dei Piluso, egli conseguì la laurea, a quei tempi prestigiosa, “in utroque iure” in una non identificata Università prima del 1670, in quanto al 29 settembre 1670 si data la patente di giudice della Gran Corte di Modica, carica che ricoprirà anche nel 1684 e nel 1686; nello stesso periodo ricopre l'incarico, che doveva essere di un certo rilievo, di protonotaro apostolico (una sorta di amministratore) del locale Con-vento dei Cappuccini.
Già maturo negli anni (ha un'età superiore ai quaranta) Mario Leggio, figlio del vivente dott. Giacinto e della fu Antonina Schininà, sposa il 28 giugno 1692 nella Chiesa di San Giorgio (il matrimonio viene celebrato dal cognato sac. Paolo Arezzo) la giovanissima Giovanna Arezzo Nicita, orfana di entrambi i genitori Vincenzo Arezzo e Giovanna Nicita (non senza avere, pochi mesi prima, dato il proprio cognome a un fanciullo - probabilmente suo figlio naturale - che egli dichiara di avere allevato a casa sua). Ella, nel giro di pochi anni, gli darà quattro eredi di cui le prime tre femmine: Carmela, nata il 7 ottobre 1694, Persia, nata il 25 ottobre 1695 e Agata, nata il 14 maggio 1697, seguite dall'ultimogenito Giacinto, nato il 22 dicembre 1699 e morto nel 1761 (la cui lapide sepolcrale tuttora si può osservare all'interno della Cattedrale di San Giovanni Battista).
L'ascesa sociale, già iniziata dal padre e dall'avo, della famiglia Leggio si completa, quindi, proprio con Mario il quale, in possesso dell'importante titolo accademico di “utriusque iuris doctor” che gli aveva già consentito l'accesso alla carica di magistrato della Corte di Modica, ottiene, con privilegio vicereale del 2 giugno 1692, il titolo baronale sulla tenuta di San Silvestro la cui acquisizione avrà comportato, senza dubbio, un'ardita ricostruzione genealogica dei suoi ascendenti. La sua rete parentale e la sua influenza nella realtà sociale di Ragusa si rafforza in tale modo con l'inserimento in una famiglia che, comunque, esercitava un non lieve controllo nell'apparato di potere locale; Giovanni Arezzo, padre della sposa, era stato capitano del Santo Uffizio ed era cognato, per via della moglifoto articoloe Giovanna Nicita, del ricco e potente sac. Giuseppe Nicita, già Parroco di San Giorgio e di San Giovanni Battista, Vicario foraneo e Commissario del Santo Uffizio; un'altra sorella del prelato era andata in sposa ad Ignazio Lorefice, barone di Mortilla, personaggio non di secondo piano nel vertice politico-amministrativo della Contea di Modica. Il ruolo di principale fondatore della nuova Ragusa, di guida della diaspora che portò gli abitanti dell'antica parrocchia di San Giovanni Battista a realizzare il nuovo abitato ed anzi a ottenere, nel 1695, la divisione amministrativa tra le due “università”, come ci ha tramandato la storiografia locale, non appare tuttavia, allo stato delle ricerche (anche se dubito fortemente che si possano trovare altri dati significativi al riguardo), avvalorato da alcun documento, a parte la “vox populi” che non sempre, soprattutto quando si tratta di “storia” è da ritenersi “vox Dei”, ma alla quale non si può non dare un rilievo che però non siamo in grado di definire in maniera univoca.
Il Leggio non risulta, infatti, compreso tra gli amministratori negli anni immediatamente se-guenti al terremoto, né la sua figura appare collegata (come avviene ad esempio, in diverse occasioni, per il dottor Ignazio Garofalo) alla realizzazione di opere e infrastrutture al servizio del nascente nuovo centro abitato; anche se egli nel costruire le sue case sulla Via Maestra (nel sito dove ora sorge la sede del Banco di Sicilia e l'Hotel “Antica Badia”), peraltro non molto estese a confronto con quelle dei Paternò-Castello, degli Schininà, dei Di Marco, dei Mazza, degli Ioppolo, dei Lupis, dei Pennavaria e degli stessi Garofalo e di altre famiglie sangiovannare (esse nel catasto urbano del 1846, quando già appartenevano ad altra famiglia, erano in tutto formate da otto stanze a secondo piano e da quattro botteghe, oltre ad un vasto orto non irriguo), realizza all'interno del cortile d'ingresso alle proprie case la chiesetta di san Pietro, ultimata nel 1700, facendo apporre (come risulta da documenti coevi) le proprie armi (un leone coronato rampante su una colonna ionica) sull'architrave del portone e sulla volta dell'edificio religioso a comprova dell'acquisito stato nobiliare.
Non escludiamo, tuttavia, che egli, in quegli anni, abbia svolto il ruolo, non sappiano in quali termini, né con quali risultati, di “eminenza grigia” in alcune delle vicende (separazione e riunificazione amministrativa, riconoscimento dell'autonomia alla Chiesa di San Giovanni etc.) dell'epoca della ricostruzione.
Mario Leggio conclude la sua esistenza con molta probabilità negli anni compresi tra il 1708 ed il 1710 e ciò in quanto nessuna data si trova segnata nei registri parrocchiali.
Supponiamo, di conseguenza, che la sua morte si sia verificata in un'altra città compresa Palermo, ove si può ragionevolmente ritenere che egli dimorasse per non brevi periodi alla ricerca, non sappiamo se fruttuosa, d'importanti incarichi nell'apparato giudiziario del Regno, come si potrebbe evincere (il condizionale è d'obbligo in quanto il documento da noi consultato è una copia tardosettecentesca di un presunto originale) dal tenore di una “supplica” rivolta dal Leggio al Senato di Palermo per avere la cittadinanza e per potere, in tal modo, “concorrere a tutti l'impieghi nobili della Città”. La scarna biografia di Mario Leggio va, a questo punto, arricchita di altri elementi che ci consentono di delinearne, con maggiore precisione, il profilo intellettuale. Al riguardo ci soccorre un documento notarile che, seppur indirettamente, lo concerne.
Essendo deceduta ab intestato nei primi mesi del 1715 (esattamente il 9 marzo 1715), all'età di appena quarant'anni “circiter” la baronessa Giovanna Arezzo Nicita, già vedova del barone Mario Leggio, che viene sepolta nella chiesa di San Pietro “con processione in forma particulari”, i suoi figli conviventi Giacinto e Agata (le altre figlie Persia e Carmela rfoto articoloisultano già sposate: la prima con Vito Ventura Zacco e la seconda con Aloisio Manenti barone di Giarrentini, entrambi modicani), nell'accettare con il beneficio dell'inventario l'eredità dei beni materni allo scopo di evitare la “confusione” con i beni già ereditati dal padre, dallo zio paterno chierico Ignazio Leggio e dal ricco prozio materno sacerdote e dottore in teologia Giuseppe Nicita, procedono, dietro autorizzazione del loro congiunto Francesco Schininà, nella qualità di giurato in carica, alla redazione dell'inventario dei beni ereditari della madre e anche di quelli del padre che viene puntigliosamente curato dal notaio Vincenzo Veninata in data 27 maggio 1715 (archivio di Stato di Modica, notaio V. Veninata, volume IV fogli da 259 r a 273 v) nella casa “della solita habitatione esistente in questa città di Ragusa nel quarterio dello Patro seu piano del Carmine” (come genericamente veniva appellato il nuovo abitato).
I beni immobili sono senza dubbio di notevole entità e consistono in due tenute in contrada “delli Puzzilli seu la Piancata”e in quella “dello Puzzillo seu Scalunazzo”. In un'altra, di valore senza dubbio inferiore, sita in contrada “delli Costi seu Manteraciotto”, in un'altra, di limitata estensione, sita in contrada “Almadara seu Puzzillo” e, infine, in diverse” clausure”, cioè modesti appezzamenti di terreno, nella contrada “del Patro”, “di Santa Veneranda e “della Timpa”, in buona parte, riferisce il documento, in precedenza concessi in enfiteusi a numerosi privati (“nonnullis personis”).
E' probabile che parte di questi beni principalmente quelli che potremmo definire “aree edificabili” siano, in origine, pervenuti alla baronessa dalla madre appartenente, come abbiamo accennato, alla influente e doviziosa famiglia Nicita che, in persona dei suoi esponenti che rivestivano l'abito talare, furono molto probabilmente i registi più o meno occulti della realizzazione del nuovo centro abitato.
Di valore piuttosto modesto gli oggetti inventariati consistenti in pochissimi abbigliamenti femminili e in mobili di uso comune. Il patrimonio immobiliare e mobiliare di Mario Leggio viene pure inventariato.
A parte i fondi rustici, consistenti nella “possessione” di contrada “Tesauro” composta da più “corpi” con “casaleni”, cisterne e “mandre”, da oltre un secolo di proprietà della famiglia Piluso-Leggio e nella due “possessioni coniunctae e collaterales” con case, cisterne e “mandre” e molti alberi “domesticis et silvestribus” poste in contrada “San Silvestro”confinante con il feudo del “Piombo” e con terre chiamate dello “Inferno”, di un certo interesse è la descrizione dei seguenti oggetti:
Una sigetta (seggiola) di felba (panno) russa arriccamata,
Item dui buffetti (tavoli) di nuci
Item dieci pezzi di bachera (vacchetta) russa cun rami
Item sei cruna (poltrone) di sita
Item dudici quadri sei grandi et
sei piccioli cum diversi immagini
Item una trabacca (baldacchino) di ferro
Item altra trabacca (baldacchino)
di legno
Item sei brochi (brocche) d'argento
Item sei cociarelli (chucchiaini) d'argento
Item un piccieri (bicchiere) d'argento
Item una sotto tazza d'argento
Item una coltillera cum sui coltelli
cum manichi d'argento
Item un vagile (bacile) d'argento
Item una fruttera d'argento
Item tre gotti d'argento
Item quattro butti vacanti
Item tre cascie (casse) di nuci grandi
Item dui baulli
Item una cunca
(conca per riscaldamento) di rame
Item dieci linzola di manna
(qualità di lino) niura
Item cinque tovagli di tavola
Item dieci salvietti (tovaglioli)
Item cinque tovagli di facci (asciugamani)
Item quattro frazzati (stoffe multicolori per coperte) di panno minati (usati)
Item altri dui frazzati (idem) di lana
Item due cultre minati (usate) di tela
Item dui portali di panno virdi
Item un pavigliuni (cortina da letto)
di sita rizzata (riccia)
Item quattro spita (spiedi)


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