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Ragusa Sottosopra

n.3 del 07/06/2011

Il Risorgimento Ragusano

Giorgio Veninata, Storico

foto articolo

Il processo di unificazione non mette fine alle rivalità tra i ceti dirigenti di Ragusa Superiore e Ragusa Inferiore.
Furono anni segnati da un'accesa querelle sulla rappresentanza municipale


seconda parte
In previsione della costituzione dei nuovi organi amministrativi locali risorge l'antica e mai sopita “querelle” sulla rappresentanza municipale e sui criteri da seguire per l'assegnazione della percentuale di essa da assegnare ai due quartieri.
Dai maggiorenti del quartiere di San Giovanni viene fatto riferimento all'ordinanza del marchese del Carretto del 6 ottobre 1836 che disponeva che “le due porzioni superiore ed inferiore del Comune di Ragusa” fossero “rappresentate nel Decurionato da un rispettivo e proporzionato numero di Decurioni, essendo giusto che se tutti gli abitanti di un paese soffrono il peso delle imposte, ne debbano godere del pari tutti i vantaggi”. La sua osservanza era stata più volte richiamata dalla Sottointendenza di Modica con lettera del 28 Settembre 1841 e dall'Intendenza di Noto con lettera del 14 novembre 1847, che addirittura avevano sottratto ai sindaci dell'epoca la possibilità della formazione delle liste dei decurioni da sottoporre all'approvazione dell'autorità regia (cfr. Archivio Storico Comunale Serie Speciale- Busta n.3) e ciò anche per la particolare attenzione mostrata per gli abitanti del quartiere superiore di Ragusa dall'autorevole e sagace funzionario netino dr. Salvatore La Rosa.
Se tali disposizioni furono, in buona parte, osservate nel decennio dal 1838 al 1849, esse erano state largamente disattese nel decennio successivo a tale data.
Tale situazione non poteva non dare luogo a episodi di violenza e di disordine, a malapena fronteggiati dalle poche guardie civiche, in quanto solo nel settembre successivo, trascorsa l'epoca della mietitura e a seguito delle pressioni esercitate dal Governatore del Distretto di Modica, si poté procedere alla formazione di sei compagnie, ben equipaggiate ed armate, della Guardia Nazionale.
In effetti la mattina del 29 giugno 1860 alcuni malviventi si presentarono nella casa di tale Ferdinando Rimmaudo che venne legato, offeso e minacciato. La sera dello stesso giorno venne aggredito e minacciato con un coltello Giambattista Lupis Cosentini, che era stato capo della guardia civica, e venne assalita a colpi di fucile una carrozza che si credeva portasse Corrado Arezzo di Donnafugata ed alcuni cittadini a Modica per chiedere sostegno alle loro ragioni, ma che invece recava Giacomo Melfi ed alcuni chiaramontani che rimasero feriti.
L'indomani, inoltre, vennero minacciati di morte il sacerdote Francesco Lupis, l'ex padre provinciale dei Carmelitani Giovanni Marini ed il Priore del Convento del Carmine di Ragusa padre Salvatore Licitra. Al riguardo lo stesso Luciano Nicastro, in un memoriale del 27 luglio 1864 inviato “per semplice uso della giustizia penale” all'Intendente di Modica Vincenzo Antonio La Rocca, scriveva testualmente: “Era Ragusa sotto l'incubo del terrore per soprannominati avvenimenti, e giustamente ne dava colpa agli evasi dalle varie prigioni dell'Isola ed ai reduci da Catania, Biancavilla e Militello... e questi uniti ai galeotti si credevano in diritto di disporrfoto articoloe della vita e delle sostanze dei buoni cittadini, spaventando colle loro spavalderie la classe degli onesti; fu quindi giocoforza armarsi tutti i buoni, per prevenire maggiori mali e vegliare al mantenimento dell'ordine pubblico messo in pericolo ad ogni istante. In tanto scompiglio verificavasi una rissa tra uno dei detti facinorosi Isidoro Brugaletta e non pochi individui; ed indi la uccisione di Isidoro Brugaletta. Questo fatto che dispiacque a tutti i buoni non pertanto ritenuto universalmente come salvaguardia per prevenire futuri mali; ma la classe dei tristi e dei ladri se ne spaventrarono, scorgendo nel fatto del Brugaletta la propria sentenza; quindi si sparpagliarono e la Comune fu realmente salva perché dopo tale fatto rientrò gradatamente la calma nel paese ed un coraggio civile nella classe dei buoni cittadini”.
Sia detto per inciso che in realtà sulle circostanze della morte del Brugaletta avvenuta il 2 luglio 1860 a seguito delle ferite riportate (omicidio nel corso di una rissa o uccisione su espresso mandato) permangono seri dubbi non chiariti neppure all'epoca dei fatti se è vero che il 13 ottobre 1862, a seguito di gravi disordini avvenuti a Ragusa nel settembre di quell'anno, il Giudice Mandamentale do-mandava al Sindaco il nominativo del medico addetto all'ospedale che lo ebbe in cura. In ogni caso tali episodi, e soprattutto le preoccupazioni che essi naturalmente infondevano nella pubblica opinione, venivano abilmente strumentalizzati dagli espo-nenti delle due fazioni in lotta in previsione soprattutto del nuovo assetto istituzionale che prima o poi sarebbe stato dato all'ordinamento locale.
Il Donnafugata e forse anche il Nicastro (ma su quest'ultimo non abbiano documentati riscontri) non mancavano di rapportare al barone De Leva, Governatore del distretto di Modica, direttamente o indirettamente la loro versione dei fatti, mentre tra di loro erano apparentemente prodighi di cordiali parole di reciproca stima e comprensione. Il fondo De Leva, esistente presso la sezione di Modica dell'Archivio di Stato di Ragusa, conserva una lettera (Busta n. 5/4) datata 5 luglio 1860 nella quale Corrado Arezzo di Donnafugata accusa come indiretti fomentatori dei disordini gli avversari politici, mentre “solo l'energia e l'immenso entusiasmo spiegato qui abbasso (cioè nel quartiere inferiore) ha scoraggiato i calabri (si riferisce agli abitanti di Ragusa superiore chiamati spregiativamente “cosenzari”) e ha fatto dileguare quel fantasma del tremendo popolo col quale volevano spaventarci e don Luciano Nicastro e dottor Tumino e tutti quanti concorrevano a quella pugna che volea giovarsi di questo nome popolo per sostenere il loro spirito di aggressione. Infatti adesso è tornata la quiete e pare che i Calabri si siano ritirati in buon ordine seppure non si vuol dire che han cominciato a temere di noi vista la concitazione e il bollore in cui è stata nei giorni scorsi la inferiore”. L'Arezzo fa quindi riferimento ad una sua precedente lettera più dettagliata del 30 giugno inviata al Governatore e ad un biglietto del 29 giugno con cui, essendo ammalato, invitava il Nicastro a casa sua per discutere sui “termini di conciliazione” tra i due quartieri e corredava lafoto articolo sua lettera con la risposta avuta dal Nicastro che proponeva, in via provvisoria, un “ Consiglio composto da due terzi dalla parte superiore e da un terzo dall'inferiore” pregandolo caldamente “a condiscendere per non rovinare il paese e per non marcarlo d'infamia in faccia a tutta la Sicilia” e “di dar prova del suo saggio pensare e somma moderazione che l'adornano”.
Il Donnafugata scrive di considerare tuttavia tale risposta come una umiliazione e continua: “Io non contro risposi; don Luciano forse se ne adontò; partì per Modica, fece retrocedere la compagni d'armi che era volta a Ragusa e la sera del giorno stesso successe quel che tu sai (l'assalto alla carrozza).Vedi dunque com'è chiaro il filo di una preordinazione (in sostanza si accusa il Nicastro di essere il mandante dell'attentato)”. Infine mette in guardia l'interlocutore dagli impiegati degli uffici del Governatore in quanto “qui a Ragusa nella parte superiore si sa tutto e minutamente ciò che dite e fate in nostro riguardo e sospetto anche che si giovassero all'uopo di Carlo Papa (noto patriota modicano e successivamente deputato al Parlamento negli anni successivi)”.
Tutto ciò delinea una lotta sorda ma senza esclusione di colpi bassi che si svolge nel retroscena delle nobili quanto apparenti idealità risorgimentali espresse in modo stereotipo negli atti ufficiali quale quello del Consiglio Civico di Ragusa che, nella seduta del 21 luglio, benedicendo il suo angelo consolatore (cioè Garibaldi) “sente il vivo bisogno di renderVi grazia ed esternarVi la sua imperitura gratitudine- Voi deste il crollo al trono dei tiranni! Voi rovinaste la tortura le macchine infernali dei Maniscalco! Voi ci avete redenti! Ci avete resi Liberi!…Liberi Italiani!! Oh! L'Italia una! Sospiro di tanti Secoli! Fervido voto del Divino Poeta!”. Parole equivocamente simili a quelle che parte degli stessi uomini avevano espresso solo qualche mese prima nella seduta del 18 marzo 1860 a favore del precedente monarca Francesco II di Borbone che aveva ridotto alcuni dazi :“…. ad unanimità di voti ha risoluto di rassegnarsi ai piedi del Real Trono in nome del corpo decurionale e della intera numerosa popolazione i più sentiti sensi di riconoscenza, misti alle doverose espressioni di fedele sudditanza, di sincero attaccamento verso la persona dell'Augusto Giovine Monarca e della Sua Regal Dinastia…..”
Tale, in estrema sintesi, le vicende della comunità ragusana nel 1860 e i sentimenti, spesso tra loro contrastanti, che la permearono e che tuttavia non c'inducono ad esprimere un giudizio definitivo sia per un incompleto approfondimento di esse nei suoi vari aspetti, sia in quanto la storia non è fatta comunque di santi da glorificare e forse nemmeno di eroi, in verità sempre più rari, ma di uomini con le loro virtù certamente, ma anche con le loro debolezze e con l'ansia di tutela del proprio “particulare”, dando luogo, per così dire, ad un singolare miscuglio tra idealità risorgimentali di pochi, che presto lasciarono posto a disillusioni e cedimenti, e tentazioni trasformistiche di molti che ritenevano che tutto dovesse essere cambiato per nulla potere in effetti cambiare.

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