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Ragusa Sottosopra

n.5 del 05/10/2010

Ragusa 8 dicembre 1826 Un cerimoniale avvelenato

Giorgio Veninata, Storico

foto articoloIl rigido cerimoniale seicentesco che minuziosamente regolava i momenti più significativi della vita pubblica e i rapporti tra le istituzioni sembra essere sopravvissuto, almeno dalle nostre parti, fino alle prime decadi dell'Ottocento, come proverebbe un insolito documento, che è conservato presso l'archivio storico comunale (serie speciale, carpetta 41, fascicolo 8).
Esso si riferisce ad un episodio avvenuto a Ragusa l'8 dicembre 1826 in occasione della prima visita pastorale da parte di mons. Giuseppe Amorelli (1787-1840), all'e-poca e fino alla sua morte Arcivescovo di Siracusa.
La sacra visita fu preceduta da un formale invito precedentemente rivolto dal Vicario Foraneo al Sindaco, ai primi due Eletti e a due Decurioni più anziani affinché il giorno seguente si recassero, quali rappresentanti del Municipio, nella Chiesa e Convento di San Domenico per assistere alle cerimonie solite farsi in occasione della solenne processione, in cui si porta il sullodato Monsignore pontificalmente vestito alla Matrice Chiesa di San Giorgio per la prima sacra visita.
Il buon vicario foraneo con ogni probabilità non avrebbe mai immaginato quale scompiglio si sarebbe verificato in tale circostanza!
Non essendo a conoscenza dell'esito della vicenda ci limitiamo a trascrivere, anche con le sue imperfezioni, il curioso documento in questione lasciando ogni commento al lettore.
L'anno milleottocentoventisei il giorno otto dicembre
Noi d. Carmelo Arezzo, d. Filipponeri Garofalo e d. Eusebio Floridia quali componenti il Corpo Amministrativo di questo Comune di Ra-gusa in seguito dell'invi-to fattoci passare dal sig. Vicario Foraneo di questo suddetto Comune con officio di ieri, onde conferirci in questa mane alle ore sedeci nel Convento di San Domenico per eseguire le solite Funzioni occasionalmente alla sollenne processione in ono-re di Monsignor Vescovo pontificalmente vestito per la prima sagra visita nella Venerabile Madrice Chiesa, ci fecimo un dovere ieri per prima di tutto di andarci colleggialmente per farci la ben venuta, e sebbene non ci avesse fatto quella accoglienza dovuta ad un Corpo rappresentante una rispettabile Comune, pure per far vedere che non faceasi da noi conto di simile piccolezza, questa mane ci disposimo per prestargli quegli omaggi convenienti ad un foto articoloPrelato, ed infatti stradata la Processione per la via di San Domenico (l'attuale corso XXV Aprile) di tutte le Confraternite, Capitolo e Clero, noi ci disposimo per portarci in detto luogo quando, contro ogni aspettazione e contro l'ordine che avea dato ieri, sospese la processione e volle contentarsi a sortire da privato, noi però a malgrado di veder retrocedere la Processione per maggiormente confermarcene, mandammo un'imbasciata e con effetto venimmo in cognizione che iva da privato in sedia.
A questa notizia pensammo a bene anticipare per trovarci pronti al sua arrivo alla Madrice ed andammo a fermarci sotto le gradinate della stessa alfin di eseguire il nostro dovere subito che partiva dalla sedia.
Quivi giunti secondo il consueto in queste contingenze ci presimo le aste del Baldacchino che erano dallo steso Monsignor Vescovo destinate a quattro Preti vestiti con cappa senzameno per un atto di delicatezza, ma appena uscito dalla sedia ed accortosi che le aste del Baldacchino esisteano in nostro potere manifestò tutta la sua dispiacenza e con parole poco decenti voltandosi a me Sindaco disse che avea mancato al mio dovere mentre desso era quello di portargli la punta del Piviale.
Alcchè fui nell'obbligo di rispondere con tutta modestia che rappresentando il Corpo Amministrativo l'antico Magistrato Municipale perciò esegue esso Corpo gli stessi doveri d'allora e d'aperaltro Monsignor Vescovo non portava il Divinissimo.
Non restò pago a questa risposta, anzi cammin facendo maggiormente si accendea, e con più energia ad alta voce e con espressioni equivoche, che sinistramente poteano essere apprese dal gran popolo, proseguiva a rimproverarci ed in particolare a me Sindaco, perché mi ero negato a cedere l'asta, per non portargli la punta del Piviale.
Non si desistì anche nell'interno della Chiesa, ad onta che il popolo si mostrava poco contento a questi suoi rimproveri contro di me diretti e noi sì per quella doverosa sommissione dovuta da un Prelato che per un tratto di prudenza soffrissimo ogni espressione la più acerba, di cui potea farsi lecito per effetto della sua superiorità, considerando a noi dei semplici privati senza considerarsi con quella rappresentanza che la Carica affidataci da Sua Maestà decorava la nostra persona.
Non si contenne in quefoto articolosto soltanto il lodato Monsignor Vescovo.
Dopo passò più oltre, ordinò che si fossero abbassate le Verghe (si tratta probabilmente delle “mazze” tuttora utilizzate in occasione della festività di San Giorgio) che si portavano dai nostri servienti secondo il consueto in tutte le occasioni di gala, e perché suddetti servienti sapendo il proprio dovere non le abbassarono, un prete della sua corte venne alle vie di fatto rompendoci le Verghe.
Tutto da noi si soffriva per non succedere uno scontento di qualche conseguenza.
Pigliato ognuno il nostro posto, cominciò la Sacra Funzione, ma il divisato Monsignore volendoci oltraggiare fino all'ultimo confine nell'atto che ci spettava colla rappresentanza di sopra indicata il dovuto Incenso, ce ne rese privi come privi ci rese del solito baciamano e comunicazione di Pace a cui doveamo essere abilitati dopo il Capitolo.
Da particolari non avrebbe convenuto farne menzione alcuna, ma da rappresentanti il Corpo Amministrativo di questo Comune per non ledere i diritti ai nostri successori ed al Comune medesimo abbiamo di tutto l'occorso formato il presente processo verbale per mandarsi al sig. Intendente (della Provincia di Siracusa) che abbiamo firmato oggi il giorno, mese ed anno come sopra.

Carmelo Arezzo Sindaco
Filippo Neri Garofalo Primo Eletto
Eusebio Floridia Secondo Eletto
Giorgio Bertini Cancelliere



Ritratto del Secondo Eletto Eusebio Floridia Cannata (1797-1860)
Ricoprì più volte la carica di Eletto e di Decurione in epoca borbonica. Fu sindaco di Ragusa dal1830 al 1834, autore di poesie in vernacolo rimaste inedite e, quale esperto agronomo, di un'opera in versi dialettali pubblicata postuma (con prefazione dell’avv. Filippo Garofalo) dal titolo “Aforismi di agricoltura”.
Il ritratto, dipinto da Corrado Leone nel 1860, contiene la seguente epigrafe: Eusebio Floridia uomo probo, e leale, nell'amministrazione della pubblica azienda diligentissimo; i beni di famiglia conservò ed accrebbe, delle amene lettere innamorato fin dall' età prima, lasciò nei suoi versi la più bella testimonianza d'ingegno ed affetto e nei motti e nelle arguzie da tutti ripetute incessantemente, diè segno come si può divertire e non offendere l' onore e il decoro altrui. Morì d'anni 63 a dì 4 giugno 1860.

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