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Ragusa Sottosopra

n.6 del 09/12/2008

ll protagonismo della TERRA IBLEA nella fiction del Commissario Montalbano

Faustina Morgante

foto articoloIl Commissario Montalbano ha 10 anni. Un piccolo miracolo della fiction italiana che nel tempo non ha conosciuto flessioni di stile e di corposità compositiva. Uno dei pochi esempi in cui il testo filmico riesce ad essere “altro” dal testo scritto, restituendo intatta l'invenzione dell'opera di Camilleri. Un successo di massa che si è reso possibile grazie a tre componenti fondamentali: la sapiente maestria di un regista come Alberto Sironi, la faccia di Luca Zingaretti e la terra iblea.
A Sironi sono piaciuti gli “occhi da gattone” ed il sorriso di Zingaretti oltre al fatto di scoprire tutta la bravura di un attore proveniente dal teatro.
Una scelta perfetta. Questo commissario “anarchico-individualista”, simpatico, comprensibile, che ha un concetto della giustizia tutta sua, amante della buona tavola, delle belle donne pur nella praticata fedeltà (ma ultimamente meno) non poteva trovare migliore incarnazione nella persona di Luca Zingaretti che siciliano non è, ma è come se lo fosse. “Gli attori non siciliani - dice Sironi - quando devono fare “il siciliano” esagerano, Zingaretti non lo fa. Non fa mai di più. Anzi sa dare alla sua recitazione musicalità, orecchio”. L'invenzione registica sta nell'occhio che guarda con stupore la bellezza di un territorio sconosciuto.
Lo sguardo di Sirone attraversa ogni episodio come una sovrastruttura fatta di pura fascinazione che ha l'effetto di mostrare la forza espressiva di una protagonista latente, ma onnipresente: la terra iblea.
C'è nell'opera cinematografica la restituzione del nostro territorio in tutta la sua complessità e ricchezza: il mare, la campagna, i palazzi, le piazze, i vicoli, i riti, le tradizioni, la vita quotidiana, i volti della sua gente. Un ambiente perfetto per calare “il commissario Montalbano” nel mondo che Camilleri ha voluto che gli appartenefoto articolosse: un luogo dell'oggi, ma intriso del sapore del passato, della memoria. Questa felice “alchimia” spiega perché gli episodi del commissario Montalbano siano seguiti da milioni di telespettatori anche alla seconda, terza, quarta replica. Come se ogni volta si rinnovasse in chi guarda un “piacere”, che è legato all'in-treccio narrativo, al commissario, ai suoi uomini, alla casa sul mare, agli scenari barocchi, al mantenimento di un'atmosfera che cattura sempre e che la ridondanza non riesce ad attenuare.
Montalbano e la provincia di Ragusa hanno ormai stretto un rapporto simbiotico, dove l'uno è identificabile attraverso l'altro e dove realtà e finzione trovano una dimensione di fertile osmosi. Per cui è stato possibile salvare il “Pisciotto” dalla paventata demolizione anche grazie alla dignità che la fiction ha procurato al sito di archeologia industriale scegliendolo come location e legittimandone la bellezza e la peculiarità. Così tanti luoghi iblei - Ragusa, Modica, Scicli, Punta Secca etc. - hanno visto incrementare i propri flussi turistici anche grazie alla meraviglia che la fiction ha saputo costruire attorno a tutte le ambientazioni scelte.
Questa estate sono stati girati dalla troupe cinematografica gli ultimi episodi della serie - La vampa di agosto, Le ali della sfinge,La pista di sabbia e La luna di carta - che abbiamo già visto a novembre su RaiUno. Viene da chiedersi se la separazione di Camilleri dal suo personaggio è prossima, come alcune volte dice, oppure no. Intanto ci conforta sapere che per ora il commissario sta solo attraversando “L'età del dubbio”. Comunque vada, la storia che è stata scritta (da Camilleri, da Sironi, dagli attori, dalla produzione, dai luoghi, dal pubblico) resterà sempre nella memoria collettiva come una delle eccellenze della produzione televisiva italiana.


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