Ragusa Sottosopra
n.2 del 07/04/2008
Mons.Giovanni Iacono
un ragusano avviato agli onori degli altari
Dr.Angelo Iacono, nipote di Mons.Iacono
Mentre il coro intonava canti, una lunga processione di quasi un centinaio di sacerdoti e diaconi tutti con paramenti bianchi, ha preceduto la solenne messa; in uno scenario veramente emozionante ed in un'atmosfera altamente mistica si sentiva aleggiare la presenza spirituale di mons. Iacono «come se una nuova stella si fosse accesa nel cielo della chiesa nissena», così si è espresso mons. Russotto. Successivamente è stato insediato il tribunale che dovrà istruire la causa di beatificazione. L'incarico di postulatore è stato affidato al ragusano prof. Carmelo Mezzasalma, che vive ed insegna a Firenze. Mons. Iacono nacque a Ragusa nel 1873 da una famiglia povera; conclusa la scuola elementare, il padre, non disponendo di mezzi finanziari per fargli proseguire gli studi, lo avviò al mestiere di muratore. Fu proprio durante il lavoro di manovale che il suo maestro delle elementari lo rivide e, avendo avuto modo di apprezzarne l'intelligenza e le capacità, non volle rassegnarsi alla decisione del padre. Lo aiutò a presentare una domanda di sussidio al Comune ed ottenne un contributo di lire due per l'acquisto dei libri; così il ragazzo poté proseguire gli studi. Senza quel contributo del Sindaco di Ragusa, forse il destino di Giovanni sarebbe stato diverso. Da ragazzo nutriva l'ideale del sacerdozio, ma il seminario di Siracusa (a quei tempi Ragusa faceva parte di quella diocesi) per ben due volte gli negò l'accesso perché la sua famiglia non poteva pagare la retta. Rientrato dal servizio militare si presentò a Catania ad un concorso per una borsa di studio per conseguire il diploma di maestro. Rimase deluso quando dovette costatare che il suo nome non compariva fra gli ammessi agli esami orali. La vocazione al sacerdozio lo spinse a bussare al seminario di Catania ed il cardinale Francica Nava, resosi conto della grande fede e della intelligenza del giovane, lo ammise gratuitamente ed amorevolmente nel suo seminario.
Appena varcata la soglia del seminario apprese che il segretario del concorso lo cercava perché, pur essendo risultato il primo in graduatoria, il suo nome, per un’involontaria omissione, non era stato incluso nell’elenco degli ammessi affisso in bacheca. Ma Giovanni ormai aveva realizzato il sogno di entrare in seminario e non volle presentarsi agli esami che gli avrebbero consentito di diventare maestro elementare. In questo episodio, ancora una volta, si intravede il disegno divino: il giovane Iacono doveva diventare “sacerdote e qualcosa di più”, così aveva precedentemente profetizzato la beata Suor Maria Schininà, alla quale in precedenza il giovane Iacono si era confidato, chiedendo una preghiera perché il Signore gli spalancasse le porte del seminario. Avendo conseguito ottimi risultati la pagella degli esami finali del corso filosofico riportava il massimo voto in tutte le materie - ed essendo divenuto “ladro di borse di studio”, come ebbe a definirlo il cardinale Francica Nava - da Catania fu inviato a proseguire i suoi studi al Collegio Apollinare di Roma, dove ebbe come compagno di studi Angelo Roncalli, futuro Pa-pa Giovanni XXIII ed oggi Beato.
Entrambi rimasero in contatto epistolare e mons. Angelo Roncalli nel 1923 venne a trovarlo nella sua sede vescovile di Caltanissetta.
Papa Giovanni XXIII, ricevendo in udienza privata un alto prelato di Caltanissetta, ri-cordandosi del suo compagno ormai deceduto, ebbe a dire: «io lo ammiravo molto e pregavo il Signore perché mi facesse diventare buono come Giovanni Iacono».
Conseguita la laurea in teologia, rientrò a Catania e fu ordinato sacerdote. Nel 1918, alla notizia che era stato nominato Vescovo, rimase incredulo e riluttante ad accettare l'episcopato perché se ne considerava indegno. Si precipitò a Roma in Vaticano e, adducendo fra l'altro anche motivi di salute, supplicò perché fosse revocata la designazione a Vescovo, ma dovette chinare il capo ed accettò per obbedienza.
Dopo qualche giorno dalla sua consacrazione a Vescovo, telegrafò ai suoi familiari a Ragusa perché lo attendessero alla stazione ferroviaria, ma qui non trovò nessuno perché imperversava la «spagnola» e tutti stavano tappati nelle proprie case. Affidò il suo bagaglio alla carrozzella che prelevava la posta e, percorrendo a piedi le strade deserte, e nell'ultimo tratto con la valigia in mano, si diresse verso casa. Bussò più volte e finalmente venne ad aprirgli il vecchio padre che aveva riconosciuto la sua voce; tutti i suoi familiari erano a letto colpiti dalla spagnola. Invece di festeggiare dovette fare da infermiere per assistere i suoi familiari. Questo fu il suo primo ingresso a Ragusa da Vescovo.
Dopo tre anni di permanenza nella diocesi di Molfetta, nel 1921 fu assegnato a quella di Caltanissetta e qui rimase per ben trentacinque anni. Il suo magistero pastorale fu principalmente contraddistinto dall'umiltà - intesa non come debolezza ma come fortezza di spirito - dalla bontà e dalla povertà. Su un'immaginetta a ricordo delle sue virtù sta scritto: povero sino all'indigenza / diede e costruì / con munificenza regale / semplice come bimbo / seppe / governare con saggezza / decidere con giustizia / unire con carità / umile sino all'annientamento / è ora travolto dalla gloria / che avvolge / la sua anima ed il suo sepolcro / del fulgore dei santi. Operò e rimase sempre fedele al suo motto «super omnia charitas», realizzando grandi e numerose opere - per i poveri, per l'infanzia abbandonata, per il clero - ma lui rimase sempre povero. Non chiedeva nulla agli uomini, perché, come diceva spesso, sapeva chiedere a Dio. A metà degli anni trenta decise di vendere l'automobile che qualche anno prima gli aveva regalato il clero nisseno perché potesse raggiungere più agevolmente le lontane parrocchie della diocesi; disse che era un lusso e che non poteva sostenere le spese per l'autista e la benzina e destinò quanto ricavato dalla vendita al seminario.
Spesso e nascostamente si spogliò anche di indumenti personali nuovi per soccorrere chi era nell'indigenza e, negli ultimi anni del servizio pastorale a Caltanissetta, si disse che gli avevano rubato la croce pettorale, ma in verità l'aveva venduta per aiutare i poveri. Rimase sempre molto legato alla sua città natia, non mancò mai di partecipare ogni anno alla processione di S. Giovanni Battista. Poiché il vescovo di Siracusa veniva a Ragusa molto raramente, mons. Iacono era felicissimo di poter somministrare la cresima a quanti, senza alcun preavviso ma muniti di un semplice bigliettino del proprio parroco, si presentavano nella sua modesta casa di contrada Fortugno dove d’estate soggiornava per un breve periodo di riposo. Ai ragusani che andavano a trovarlo a Caltanissetta diceva sempre: tornando a Ragusa salutatemi tutti e tutto. Durante l'ultima guerra diversi ragusani prestavano servizio militare nella città nissena ed egli li soccorreva nelle loro esigenze, magari prodigandosi perché ottenessero brevi licenze e talvolta li invitava a pranzo.
Quando Caltanissetta fu gravemente bombardata e poi occupata dagli alleati, mentre tutte le autorità civili si dileguarono, mons. Iacono, rimasto sul posto, si presentò al comandante americano e, garantendo che la popolazione non avrebbe teso attentati, ottenne che cessassero i mitragliamenti aerei sulla città e che militari medici ed infermieri, fra i quali alcuni ragusani, destinati ai campi di concentramento in Africa, fossero lasciati liberi per prestare le cure necessarie ai numerosi feriti ospitati in un reparto ospedaliero che egli aveva approntato nello stesso palazzo vescovile. In quel periodo, allo snodo della stazione ferroviaria di Caltanissetta, arrivavano su treni improvvisati molti soldati che rientravano in Sicilia e mons. Iacono, come hanno raccontato alcuni testimoni ragusani, si faceva trovare alla stazione per rincuorarli e fornire loro indumenti e pacchi di vettovaglie per proseguire il viaggio verso casa.
Assieme al compianto mons. Carmelo Canzonieri, allora parroco della Cattedrale, si diede molto da fare affinché Ragusa fosse elevata a diocesi e fu felicissimo di poter accogliere nel 1951 quale primo Vescovo di Ragusa il suo allievo mons. Francesco Pennisi. In quella circostanza, dinanzi ad una folla che gremiva piazza S. Giovanni, volle ricordare di essere un ragusano autentico anzi, con un'espressione colorita, disse “sono un ragusano mangiamaccu come tutti voi” e la folla lo applaudì a lungo. Nel 1956, sotto il peso dei suoi 83 anni, dimessosi da Vescovo, volle ritornare in silenzio, in punta di piedi, senza clamore e senza alcuna cerimonia di commiato nella sua amata e natia Ragusa. Qui trascorse gli ultimi mesi della sua vita in una modestissima casa; nel pomeriggio, tempo permettendo, accompagnato dal fratello Salvatore, appoggiandosi ad un bastone, si recava nella vicina villa Margherita per una breve passeggiata, non disdegnando affatto di sedersi nella panchina a chiacchierare amorevolmente con i vecchietti suoi coetanei. La sera del 25 maggio 1957, dopo una brevissima ed improvvisa agonia, rese l'anima a Dio. Non lasciò alcun testamento, perché morì povero come era vissuto. Sulla sua scrivania fu trovata una busta con lire quindicimila con la scritta «per i poveri della S. Vincenzo».
Quelle poche lire costituirono tutto il bene materiale lasciato dal santo vescovo, ma ricchissimo ed inestimabile fu il suo patrimonio spirituale. Il Sindaco di Ragusa proclamò il lutto cittadino e i suoi funerali furono un'apoteosi. Il feretro sfilò lungo via Garibaldi e Corso Italia fra due ali di folla assiepata sui marciapiedi, tutti al passaggio facevano devotamente il segno della croce e qualcuno devotamente si inginocchiava.
Anche il cielo volle compiacersi, mentre il sole faceva capolino fra le nuvole alcune gocce di pioggia scesero dolcemente quasi a voler benedire il feretro e tutta la folla. Al termine dei funerali in cattedrale una fila interminabile di gente sfilò ordinatamente davanti alla bara per poterla toccare e baciare. Il vescovo di Ragusa, mons. Francesco Pennisi, avviandosi alla conclusione dell'elogio funebre ebbe a dire: «noi non sentiamo di seppellire la salma di mons. Iacono, se non provvisoriamente, noi sentiamo di seppellire delle reliquie». Una vera e propria profezia che a distanza di cinquant'anni sta per avverarsi. E così concluse l'elogio funebre: «Scende nella tomba con una povera pianeta, senza argento e senza oro perché coperta dall'oro della sua anima; con una mitra di tela perché la sua corona è il suo purissimo sacerdozio; senza un pastorale perché segno di regalità e dominio è la sua santa vita». Lo stesso mons. Pennisi volle che le «reliquie» di mons. Iacono fossero seppellite nella cattedrale di Ragusa e non si accontentò di porre sulla sua tomba una semplice lapide ricordo, ma volle che gli fosse eretto nel transetto un grande monumento, nel quale possiamo ammirare al centro il busto in bronzo di mons. Iacono nel suo abituale atteggiamento di preghiera e sovrapposte ai lati due grandi figure femminili, una raffigurante l'umiltà e l'altra la povertà. Il Comune di Ragusa ha voluto ricordare questo illustre suo figlio intitolandogli una via cittadina. La biografia di mons. Iacono «Un Vescovo Fanciullo», curata dal suo discepolo Padre Giovanni Speciale, è in corso di ristampa.
Aggiungi questo link su: