Ragusa Sottosopra
n.6 del 05/12/2005
Cava Gonfalone il non luogo
Uno straordinario monumento alla fatica
e all'ingegno dell'Uomo che diventerà
piazza coperta, spazio pubblico da vivere
e contenitore di eventi nel segno dell'unicità
e della meraviglia.
Salvatore Scuto, architetto
La Gonfalone è oggi costituita da un unico, vasto ingrottato (1,5 ha) risultato dal collegamento di più concessioni. Da ovest verso est, se ne riconoscono almeno sei. L'ingrottato all'estremità orientale conservava la sua completa autonomia, costituita dal diaframma continuo che la divi-deva dalla Gonfalone; le due cave sono ora colle-gate da un passaggio praticato durante i lavori. L'attività di cava ha proceduto per avanzamenti successivi, seguendo la giacitura degli strati di calcare (alternati per consistenza dai più tenaci e cristallini ai più teneri), risparmiando una serie di piloni di sostegno del tetto. La parte occidentale è caratterizzata dall'uso esclusivo del piccone che in vario modo “pettina” pareti e tetti che risultano fittamente “decorati” dalla finitura dei picconieri: a volte a spina di pesce, altre volte a strisce parallele, specialmente sulla superficie dei tetti. L'altra parte conserva sulle pareti, nelle superfici più basse di queste, le tracce delle seghe circolari che hanno caratterizzato l'ultima fase di vita delle cave. Una serie di fratture, riconosciute già dai cavatori, che vi allineano i robusti pilastri, attraversano il tetto dell'ingrottato, convogliandovi le acque di percolazione dalla superficie. Un “lago” caratterizza la parte più profonda e buia della cava, che presenta anche 6 piloni di calcestruzzo costruiti dal Genio Civile in occa-sione dell'ampliamento del superiore Ospedale.
L'esteriore aspetto dei luoghi, davanti agli enormi portali di accesso agli ingrottati, venne parzialmente modificato dalla perforazione di un pozzo petrolifero, ora dismesso, istallato negli anni '60, che ha spostato il fosso verso sud e rialzato il fondovalle con un vasto piazzale pianeggiante. Oggi la vallata presenta l'aspetto straniante di un micro paesaggio tropicale con la vegetazione intricatissima e fitta, cantata da milioni di uccelli.
La cava Gonfalone, da qualsiasi parte la si consideri, costituisce un non luogo”. È un interno, perché è coperta da un tetto e definita da pareti. È un esterno, perché è una cava. È una “non città” perché ne costituisce l'esatto negativo (il luogo dal quale provengono i materiali costitutivi della città storica; il luogo dove potrebbero tornare smontando il gigantesco rompicapo di Ragusa e ricomponendolo all'interno della cava fino a riempirla di nuovo!). È un luogo senza colore, dove la luce dipinge sulle pareti tutta la scala dei grigi, dal bianco abbagliante dei portali esterni al nero assoluto del buio della parte più profonda della cava. È un luogo che si illumina dei colori del sole. È un luogo senza il rumore della città, dove il silenzio si percepisce come contrasto al delicato concerto in sordina delle acque di percola-zione. È un complesso innaturale, interamente costruito dall'artificiosità dell'atto del cavare, che lascia sul tetto e sulle pareti i segni del piccone, che “pettina” le superfici, che acquistano spessore e rilievo sotto le pennellate di luce radente che dall'esterno si insinua tra i piloni della gigantesca struttura. È l'esatto contrario del costruito: sottra-zione di materia che solo per caso individua un interno; piatti di una colossale bilancia sbilanciata che trasferisce pezzi di montagna dall'interno alle costruzioni da realizzare all'esterno. È un “non luogo” che si autoreferenzia nella stessa regola (estremamente elastica) dell'arte del cavare (e quindi di risparmiare i piloni di sostegno del tetto) e si autodefinisce nella casualità della fine dell'attività estrattiva quando quel materiale non è più richiesto e il mercato si rivolge altrove per la continuazione dell'attività edilizia. Un “non luogo” straniante ancor più dell'esterno, che si tende a leggere forzando la mente come grotta “naturale” contro la spudorata evidenza del fatto che non c'è nulla di più innaturale.
Questa casualità e questa innaturalità comunque definiscono uno spazio che appartiene alla percezione dell'Uomo. Che coinvolge la vista e l'udito, l'odorato e il tatto, il sapore, asciutto ed appena salmastro dell'aria che vi circola; ma anche i “sesti” sensi delle percezioni e delle proiezioni mentali di chiunque lo percorra o vi stazioni. Un “non luogo” talmente lontano ed estraneo dai luoghi del “progetto” che l'architetto non riesce a definirlo, se non chiedendo a prestito gli strumenti della letteratura (non sapendo servirsi di quelli della poesia). Ed articola iperboli, anziché concetti piani; e descrive sensazioni, anziché lo stato di fatto; e si serve della parola, anziché della geometria per tentare di restituire la percezione di una “cosa” che sfugge ad ogni definizione “tecnica”. Allora come affrontare la progettazione di un “non luogo”? Come assegnare una “funzione” ad una attività produttiva per sempre dismessa? Come relazionare questa “cosa” all'archeologia industriale illustrata nella letteratura corrente? Cosa fare di questo “non luogo” ma, soprattutto, perché fare qualcosa (qualsiasi cosa) di questo “non luogo”?
Il Progetto
Il processo di progettazione della fruizione pubblica di Cava Gonfalone non ha avuto la linearità del gomitolo che si svolge percorrendo il labirinto. È stato un processo complesso e impetuoso; lento e, a tratti, velocissimo; contestuale e a-storico; percettivo e sensuale; razionale e freddamente utilitaristico. Un processo vissuto di confronti coi tanti visitatori e le loro sensibilità. Per capire, alla fine, che ciascuno, dopo la visita, racconta una cosa diversa e il racconto non riguarda la Cava Gonfalone ma le impressioni e le sensazioni del visitatore. Un “non luogo” percepito individualmente e quindi non comunicabile, come un segreto iniziatico, anche quando lo si voglia comunicare. Finisce solo per suscitare la curiosità di altre visite che si concludono coll'inevitabile: “non immaginavo che…”.
La piazza coperta. Questa la conclusione del complicato percorso. La trasformazione cioè di un “non luogo” in un “luogo”. Non un luogo da “visitare” ma un luogo dove “stare”. Perché non è freddo d'inverno; perché non è caldo d'estate; perché questa accecante luce siciliana degli Iblei si ammorbidisce sulle pareti interne della montagna e ne consente minuziose e quasi microscopiche letture. Darsi appuntamento e ritrovarsi, tra altre persone, in questa piazza coperta piena di voci, di passi, di echi. Darsi appuntamento per il cineclub, per il teatro, per la musica. Darsi appuntamento semplicemente perché qui fa fresco, e si sta bene, e al mare c'è troppa confusione.
E guardare sulla parete di roccia levigata sfilare le immagini della città, che un proiettore nascosto non si stanca di riproporre in un ciclo circolare infinito; e veder disegnarsi sul muro appena in penombra cattedrali e palazzi, volute e colonne, cornicioni e balaustre…
Dopo avere conosciuto Cava Gonfalone, dopo averne parlato coi tanti visitatori, dopo avere messo in ordine le tante contraddittorie versioni di ciascuna percezione, rimane fortissima la tentazione di dire no, questo spazio (perché pure uno spazio è) non ha bisogno di nulla; chi vuole venga a passare il suo tempo dentro le viscere della montagna; così com'è; senza nulla togliere e nulla aggiungere. Poi, lasciando sedimentare le suggestioni, ci si accorge che Cava Gonfalone è così da più di mezzo secolo; da quando l'ultimo cavatore ha strappato alla montagna l'ultimo concio, lasciando sulla pareti di roccia i segni a croce che sembrano la riproduzione delle crocette marroni del primo Mondrian. Ci si accorge che questo spazio, così straordinario e singolare, è sottratto alla città e all'Uomo. Ci si accorge della “necessità” del fare, perché solo col fare si può strappare Cava Gonfalone alla memoria delle fatiche dei cavatori e regalarla ai cittadini come spazio da vivere.
Questo è il riassunto del complesso percorso approdato alla suggestione della “piazza coperta” così come si è presentato, configurato e sedimentato nella percezione del progettista attraverso la discussione e il confronto con le molte “cavie” (cari amici che portano con me la responsabilità di questo intervento) che hanno speso un po' del loro tempo a chiacchierare, discutere e battibeccare nelle viscere di quella che era una montagna di roccia; che è una “cattedrale” scavata nella roccia; che sarà la più straordinaria delle piazze coperte del mondo.
Del resto, come si diceva, da questa cava proviene il materiale per la costruzione della città. In questo senso essa rappresenta un “momento” della storia della città. E quando si svolge questa considerazione contestualmente e contemporaneamente la si trasforma in “monumento” della storia della città. Un monumento “diverso” da quelli che comunemente conosciamo. Ma Cava Gonfalone non ha nulla di “comune” con altre “cose”, altri “spazi”, altri “luoghi”. In questo senso essa mantiene la propria peculiarità di essere fuori del comune; di essere in ogni senso una “meraviglia” o, in altri termini, un meraviglioso monumento alla fatica e all'ingegno dell'Uomo.
La Storia
L'eccezionalità del luogo e le sue suggestioni ha consigliato di posporre le brevi note storiche delle quali disponiamo che, per tanti versi, confermano lo scarsissimo interesse che negli storici, anche locali, ha suscitato questa particolare forma di estrazione del più naturale dei materiali da costruzione: la pietra. Non disponiamo di alcuna notizia precedente al terremoto del 1693. Tutto concorre, allo stato attuale della ricerca (iniziata ricordiamo negli anni '80-90, per iniziativa del Centro Ibleo di Ricerche speleo-idrogeologiche diretto da Rosario Ruggeri), ad individuare l'inizio del fenomeno non prima della ricostruzione post-terremoto e, in particolare, alla costruzione della nuova Ragusa. Di fatto, il primo documento sicuramente riferibile alle cave-miniere, finora evidenziato, è del 1887 (Bollettino della Camera di Commercio di SR): una petizione per contrastare la concorrenza della pietra di Siracusa da parte dei cavatori ragusani. Negli anni '20 erano ancora in attività 18 cave-miniere per circa 100 t di produzione al giorno. Nei primi anni '30 il Prefetto di Ragusa risponde alle proteste per la chiusura della Cava Gonfalone “per non intaccare il terreno che viene occupato dall'Ospedale e segnatamente quello destinato al tubercolosario”. Le nuove tecniche estrattive a cielo aperto, iniziate già con le grandi opere pubbliche degli anni '30, ridussero sempre di più l'attività delle cave-miniere fino alla dismissione di questa tecnica. È possibile che anche i grandi cantieri per l'apertura della carrabile tra Ragusa ed Ibla e la costruzione di Piazza Libertà, con la grande disponibilità di materiali da smaltire, abbiano contribuito a rendere antieconomiche le cave in grotta accelerandone la dismissione.
Durante la seconda Guerra Mondiale venne utilizzata, per breve tempo, come rifugio antiaereo. Negli anni '70 e '80 vi vennero allestiti alcuni “presepi viventi”. La grotta orientale è stata successivamente utilizzata come stalla e forse come macello.
Lo Spazio interno
L'ingrottato si sviluppa in direzione est-ovest e prende luce dagli enormi portali aperti sulla parete sud. La qualità della luce dell'interno è la cosa più difficile da descrivere: violentissima all'esterno, si attenua già, mantenendo un abbagliante luminanza, nella prima campata di scavo. Poi si frantuma sulle morbide superfici “pettinate” dall'attrezzo del cavatore e rimbalza verso l'interno schiarendo le pareti, mentre le ombre dei piloni scuriscono e lasciano al buio la parte più interna della cava; che si presenta, a sorpresa, coperta da un velo d'acqua cristallina e verdissima, alla luce delle lampade che la rischiarano. La luce riverbera su questa superficie e si rispecchia sul tetto e le pareti dello scavo. Occorre avere pazienza ed attendere non più di tre minuti, senza volgere lo sguardo a sud, verso la luce, per vedere emergere lo spazio, come al “ponte di barca d'oro” nella fiumara sotto Mistretta, prima che la sigillassero.
La parte più occidentale, estremamente disordinata nella dislocazione dei piloni di sostegno del tetto, è proprio per questo, la più spettacolare; quasi una “casa di Polifemo”; quella dove la luce gioca con maggiore gioiosità. Divisa grossomodo in tre navate, trova solo nella parte più interna (la terza navata) un corridoio semi regolare lungo 65m; le prime due navate, illuminatissime, sono continuamente occluse dai piloni che diventano veri e propri specchi riflettori, creando un ambiente che alla suggestione delle geometrie casuali dell'attività di cava aggiunge effetti di luce straordinari.
La parte successiva, verso est, presenta una maggiore regolarità nei piloni disposti quasi a quinconce sull'intera superficie. A nord un ampio terrazzo raggiunge quasi il tetto, rendendo esplicita la maniera di cavare, dall'alto verso il basso, dell'intera cava. A sud, davanti ai grandi portali aperti verso l'esterno, l'attività di cava si è sviluppata in profon-dità, con un grande pozzo che raggiunge la massima profondità dell'intera area. Pozzo che si riempie di acque piovane ed è stato adesso svuotato ed impermeabilizzato per contenere l'acqua di un laghetto.
Ancora verso est è la parte più regolare. I sei piloni sono geometricamente allineati a disegnare due navate (con previsione di terza non realizzata) non molto illuminate a causa dell'accumulo dei materiali all'esterno dei portali. Dall'esterno di questa cava un percorso pedonale collega il fondovalle col superiore giardino dell'Ospedale.
Segue, disordinatissimo e suggestivo, uno spazio con interessi plurali: rispetto ai tagli delle seghe circolari della parte più bassa della cava; rispetto al taglio del “teatro”; rispetto al pozzo carsico collegato colla frattura verticale degli strati di roccia. È anche l'ambiente più illuminato, che presenta i più grandi dei portali che collegano il complesso all'esterno.
Il passaggio alla grotta successiva è fortemente caratterizzato dalla presenza del “castello”: mera struttura di risparmio di cava, così denominata perché ricorda una “casa delle fate”, più che una struttura fortificata.
Quindi un'altra grotta, la più bassa, interamente impantanata dalle acque di percolazione superiori. Presenta un vasto terrazzo a nord-est e uno scavo a sud, davanti al portale d'ingresso, coi segni dei blocchetti di piccola dimensione riportati sulle pareti e sul pavimento dello scavo.
L'ultima grotta, prima del taglio praticato durante i lavori, era interamente separata dal resto della Gonfalone da un diaframma continuo spesso da 2 a 5 m. Presenta due portali all'esterno e un interno regolare, col tetto sostenuto da cinque pilastri. E' stata utilizzata come ricovero di animali e, più recentemente, come deposito di materiali vari. Dal suo esterno parte un percorso pedonale che sale alla collina soprastante le cave ed un percorso di fondovalle (oggi impraticabile e spesso irriconoscibile) verso la ferrovia e la cava Santa Domenica.
Nel complesso, la Cava Gonfalone si configura come una vera e propria “meraviglia”. Una “cosa” che non si può ricondurre ad altro che a se stessa. Che sta solo a Ragusa e che anche nell'ambiente delle cave-miniere di Ragusa, è unica per dimensioni e caratterizzazione d'ambiente. Una “meraviglia” nel cuore della città, che presenta condizioni ambientali particolarissime e poco influenzate dal clima esterno. Il lungo abbandono dei luoghi e la presenza del pozzo di petrolio, con le necessarie misure di sicurezza, ha inselvatichito l'ambiente esterno, con una lussureggiante vegetazione che ha invaso ogni spazio, attirando una fauna avicola numerosissima e varia che riempie la vallata di versi e di cinguettìi di ogni sorta. Dalla superiore via Risorgimento (ex SS 115), la parete della cava, a seconda delle ore del giorno, cambia i colori, dal bianco al giallo, al rosso; coi grandi portali d'attacco che evidenziano il primo tratto bianchissimo dello scavo per poi perdersi nel nero dell'oscurità più profon-da. Sopra la parete verticale è il verde del giardino dell'ospedale e della residua campagna a cornice dei nuovi palazzi dell'ultima espansione di Ragusa.
La Nuova funzione
La lunga gestazione della “piazza coperta” deriva dalle indicazioni del progetto di massima commissionato dal comune di Ragusa all'ing. Vincenzo Gurrieri, filtrate dalla lunga permanenza sui luoghi e dalle suggestioni che questo spazio trasmette al visitatore. Pensare di farne un luogo da visitare semplicemente avrebbe significato non riconoscerne i valori e relegarlo a mero “non luogo” per comitive di turisti affrettati ed alunni in fila per due. La scelta di farne un luogo da vivere e contenitore di “eventi” grandi e piccoli costituisce il risultato critico degli straordinari valori della Cava Gonfalone: momento-monumento della storia di Ragusa e della sua straordinaria ricostruzione post terremoto; artificioso e casuale risultato dell'arte del cavare la pietra; ambiente climaticamente controllato senza gli impianti di riscaldamento e di condizionamento dei moderni edifici; frammento della storia geologica del mondo, scritta sulle sue pareti. Lontano dai rumori della città. Percezione dilatata e distorta dello spazio-tempo einsteniano. Contenitore potenziale di ogni funzione immaginabile: piazza coperta, appunto.
Vi si prevede un'autorimessa da 40 posti macchina; la piazza coperta vera e propria, con una strada per passeggiare, bar, negozi e servizi; spazi di aggregazione (4 piccoli teatri); un cinema con circa 200 posti; un teatro con 400 posti; un Museo della geologia degli Iblei e due sale Mostre.
Due laghetti, uno nella parte più interna, l'altro a ridosso dei portali esterni arricchiranno l'ingrottato.
La strada per passeggiare è caratterizzata dai marciapiedi di pietra bianca e dalla pavimentazione con piastrelle d'asfalto: il materiale che ha fatto la fortuna economica di Ragusa e che, con la pietra bianca, è il più rappresentativo materiale del luogo.
Il “castello” potrà attrezzarsi per il gioco dei bambini in contiguità con la sala mostre sistemata sui due livelli di scavo e collegati da una nuova rampa. Mostre d'arte, certo; ma anche dell'artigianato, dei prodotti della terra, della moda, del lavoro, dell'in-dustria; o delle scuole. O semplicemente il mercatino settimanale (oh, il profumo delle olive!).
Alcuni tratti di parete sono stati individuati per contenere opere d'arte “fisse”. Si pensa a sculture, da affidare alle sensibilità degli artisti, che necessariamente non potranno non tener conto del luogo e delle suggestioni che il luogo stesso susciterà nei realizzatori. Ciò non esclude che, in futuro, possano indi-viduarsi altri frammenti di parete, o interi piloni, da affidare allo scalpello di ulteriori artisti. I sei piloni di calcestruzzo verranno anch'essi affidati ad artisti, per essere “trattati” o dipinti; questa, probabilmente, può essere l'unica forma di colore che la Cava Gonfalone può accettare. Tutta l'area della cava (con esclusione del parcheggio-autorimessa) potrà ospitare Mostre e Allestimenti temporanei (1-2 mesi) di ampio respiro ponendo così la Città all'interno di quello straordina-rio percorso di eventi itineranti che da qualche tempo si va sempre più strutturando in Italia, in Europa, nel mondo. Con la realizzazione di questo progetto si recuperano le latomie di Cava Gonfalone e quindi una grande parte della “Ragusa sotterranea” che si aggiunge ai recuperi in avanzato stato di realizzazione (latomia del Ponte nuovo, Vecchio Mulino, le “Carca-re”, ex Macello), secondo quanto previsto dalla legge 61/81 (legge speciale per Ragusa e Ibla) e dall'azione amministrativa di questi ultimi vent'anni. Un recupero che trasforma Cava Gonfalone da meraviglia preclusa al pubblico a spazio pubblico attrezzato per i cittadini.
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