Ragusa Sottosopra
n.3 del 07/06/2011
Il difficile sentiero dello sviluppo fra l'innovazione e conservazione
Giorgio Flaccavento, Storico
Quali scelte per legittimare l'ambiente come bene comune e risorsa
Secondo i più recenti dati della Camera di Commercio, la provincia di Ragusa mantiene ancora una sua specificità economicamente avanzata. Alla base di ciò sono ancora l'agricoltura e le piccole e medie imprese. Malgrado tutto Ragusa rimane in Sicilia la provincia che realizza il più alto valore aggiunto nei due settori, ma è sorprendente come, malgrado la crisi ed una popolazione pressoché stazionaria, nel 2009 il settore delle costruzioni vanta quasi la stessa cifra percentuale dell'agricoltura. Nelle costruzioni superiamo la media non solo regionale ma anche nazionale. Il fatto che il settore presenti segni di stagnazione aggrava l'impressione di una crescita squilibrata dell'edilizia abitativa nei confronti dei lavori pubblici e di altri settori che languono ancora più fortemente. E sarebbe interessante per tutti sapere quanto hanno inciso sulla crisi dell'edilizia privata le norme di salvaguardia del piano paesaggistico. Mi pare che abbiamo smarrito il significato non solo del territorio come bene comune ma anche come risorsa.
Mia madre soleva dire “tirrinu quantu ni viri ccu l'uocci, casa tantu ppi starici", e infatti chi visita le nostre città non può non notare il dislivello tra la magnificenza delle nostre chiese tardobarocche e la relativa modestia dei palazzi, soprattutto a Ragusa; più sontuosi sono a Modica, ma il Balsamo nel suo "Giornale del viaggio in Sicilia" annotava che qui l'agricoltura era più arretrata per il prevalere di un'aristocrazia fondiaria assenteista e dedita al lusso e agli sprechi.
Lo stesso Balsamo nota come ogni crescita non sia di per sé garanzia di sviluppo perché può comportare criticità gravi e disastrose. Egli ammira l'ordinata campagna ragusana divisa in poderi di giuste dimensioni grazie alle concessioni enfiteutiche. Osserva però la eccessiva deforestazione che censura non solo sul piano estetico e naturalistico ma anche sotto il profilo economico: "quel che si ravvisa di tristo e di vituperevole si è l'estrema scarsezza di alberi… la Contea sarebbe più fruttifera e più leggiadra, se vi fussero dei boschi, maggiormente che il suolo v'è adattissimo. In nessun luogo di Sicilia si è forse tanto e così mal a proposito quanto ivi dissodato".
La crescita indiscriminata di un settore, quando è a spese dell'insieme, è anche un limite dello sviluppo.
A forza di pensare al governo del territorio per singoli settori, o paesaggistico, o urbanistico, o territoriale, e persino ecologico, mi pare che stiamo smarrendo la visione globale dell'ambiente. Ci sfugge quell'unità che nasce dalla relazione che l'uomo ha tenuto con le cose e in genere col territorio. La cosa è particolarmente grave per un territorio come il nostro così fortemente caratterizzato dalla plurisecolare azione dell'uomo, che malgrado alcune criticità, generalmente ha saputo trovare un fondamentale equilibrio con l'ambiente. C'è stata generalmente nella storia del nostro territorio la consapevolezza fortissima di appartenere ad una casa comune, alla stessa cultura, alla stessa religione, di condividere lo stesso dialetto, unico in Sicilia, gli stessi valori morali, di essere radicati nello stesso suolo alla cui costruzione abbiamo contribuito.
Infatti, la provincia di Ragusa, malgrado sia stata istituita solo nel 1927, colpisce per le sue connotazioni di omogeneità culturale e ambientale. In realtà i 12 comuni che ne costituiscono il territorio e che fino ad allora formavano il circondario di Modica appaiono tutti legati, con alterne vicende di scorpori e annessioni, alla storia della prestigiosa Contea di Modica che godette di ampie autonomie, ma che con i Cabrera fu addirittura uno stato nello stato. Non una semplice unità feudale, ma una vera e propria organizzazione statuale che riunì sotto un unico modello di governo giuridico ed amministrativo l'intero territorio dell'attuale provincia. Anche in presenza di accesi contrasti non si è mai smarrito un "sentimento comune", il riferimento a valori condivisi. E se mi è permesso paragonare piccole a grandi cose penso alla testimonianza di un agricoltore, che ha vissuto con entusiasmo la recente trasformazione dell'agricoltura che ha prodotto la ricchezza della nostra provincia. Intendo parlare di Mimì Battaglia, che ha pensato di mettere per iscritto la sua avventura di "massaru rausanu" in un libro di ricordi della recente storia e dell'ambiente sociale della provincia di Ragusa; ma anche la confessione del suo profondo amore per l'agricoltura e per il suo paese da cui ha tratto linfa grazie alla fermezza dei principi morali ricevuti dai padri, la fede cristiana semplice e profonda, coniugata con una grande curiosità verso l'innovazione. Ho visto, ascoltandolo nella sua casa di Pedalino, quel manipolo di giovani coltivatori diretti, che a Ragusa, provenendo da tutte le parti della provincia, negli anni cinquanta sacrificarono le loro domeniche ad aggiornarsi se-guendo le lezioni di esperti del settore come il giovane presidente della Coltivatori Diretti Carmelo Guerrieri, uno dei primi periti tecnici caseari della Sicilia, diplomatosi a Lodi presso l'Istituto Superiore di Caseifici. A lui si deve la realizzazione del primo Mercato-Concorso Zootecnico, poi noto come Fiera Agricola del Mediterraneo, affermatosi oltre i confini dell'isola. Quei giovani sono stati i battistrada, i punti di riferimento per il grande balzo dell'agri-coltura ragusana e sarebbe ora che la nostra storiografia dedicasse la dovuta attenzione a questi pionieri. È un consolante conforto riscontrare come lo slancio verso il miglioramento del proprio lavoro, prima ancora della ricerca del profitto, coincida in agricoltori come Mimì Battaglia con quello della partecipazione alla vita civile e politica del paese.
Uomini come Battaglia, come Carmelo Guerrieri o Feliciano Rossitto, ognuno con il suo diverso peso, ci hanno dato l'esempio di come concepire le organizzazioni associative del lavoro come strumento autentico di crescita umana e civile, prima che economica, del proprio paese: "nun sugnu né poeta né scritturi/ ma amu tantu tantu u ma paisi,/ ppir iddu prieiu sempri lu signuri".
Non è l'innovazione che contrasta con la conservazione, ma l'assenza di questo amore che dovrebbe tradursi operativamente in chi governa in un'accorta pianificazione del territorio attraverso lo studio e la selezione di quelle componenti che meglio rappresentano la complessità del sistema ambiente.Quando si protesta, spesso mi pare pregiudizialmente, in nome della produttività economica contro l'esclu-sione di determinate attività umane, ad esempio dalle cave iblee, si dimentica che alla fine l'obiettivo di ogni pianificazione è il miglioramento della qualità globale dell'ambiente attraverso la ricerca di equilibri sostenibili tra lo sviluppo delle attività umane e le risorse naturali. Ne è un esempio negativo lo scempio delle dune del nostro litorale, "i maccuni", fagocitate nell'ultimo cinquantennio dalla rapida evoluzione delle coltivazioni in serra.
Nella conversazione con Mimì Battaglia, mi colpì la giusta critica alla eccessiva frammentazione del territorio agricolo contraria ad ogni criterio di moderna produttività. In estate percorro in bicicletta il litorale ibleo fino a Punta Braccetto o Scoglitti (a quando una rete di piste ciclabili nel nostro territorio?); vedo accanto a pochi esempi di serre condotte con criteri moderni nell'impianto e nella gestione una quantità sempre maggiore di serre dismesse o abbandonate che danno il senso del degrado e del declino di un sogno di ricchezza da coltivare col pomodoro in poche centinaia di metri quadrati.
Le serre che sopravvivono lo devono al lavoro massacrante della famiglia e degli extracomunitari sottopagati. In effetti il vantaggio dell'insediamento nelle dune per la sua forte insolazione è diventato ogni giorno più relativo. Oggi gli impianti che assicurano i più alti standard di produzione sono risaliti verso Santa Croce, lungo le valli dell'Ippari e soprattutto dell'Acate con aziende tecnologicamente avanzate.
Quello che rimaneva delle dune e dei macconi è stato divorato dall'espansione edilizia alimentata dall'alto profitto iniziale delle serre.
Nella "Primavera dell'archi-tettura" dello scorso anno, Franco Zagari, professore di Architettura del Paesaggio all'Università di Reggio Calabria, sottolineava la stessa riflessione di Mimì Battaglia sui danni arrecati dall'ec-cessiva parcellizzazione e ne traeva la giusta conclusione in termini paesaggistici: "se non si riscrive il modello paesaggio-am-biente non ci sarà alcuna possibilità di sviluppo".
Nella trasformazione delle dune non c'è stato nessun controllo, nessun monitoraggio del territorio, il che ha prodotto una commistione caotica di agricoltura e turismo con maleodoranti concimi a ridosso di strutture alberghiere con standard qualitativi ambiziosi. Infine è da riprendere la proposta di Rosario As-sunto del recupero e del restauro della ragnatela di muretti a secco dell'altopiano ragusano; egli avanzò l'idea di un restauro paesaggistico di questa straordinaria costruzione dell'uomo nel libro scritto con Giorgianni, “La pietra vissuta", che svelò agli italiani la profonda perspicacia dell'occhio fotografico di Peppino Leone di ritrarre questo mondo rurale davvero omerico.
Diceva Zagari: "Ogni paesaggio ha i suoi Lari, le sue divinità che lo proteggono. Se sono in fuga o sono assenti occorre ritrovarli o rigenerarli".
I Lari dei muri a secco dell'al-topiano sono i nostri avi, i nostri progenitori che li costruirono. Le masserie e i massari sono ancora presenti nel territorio e alcuni di essi, proprietari colti e avvertiti, han posto mano con proprie risorse a quest'opera di recupero e restauro rifacendosi Penati di se stessi.
La costruzione di questi mirabili manufatti ubbidiva a regole precise e minuziose norme relative non solo alle tecniche migliori di costruzione, ma a funzioni di drenaggio delle acque, di condizionamento climatico che serbano tuttora intatta la loro validità.
Certamente “il progetto di recupero del paesaggio è sempre un progetto ambizioso. Uno spartito musicale su cui scrivere, o riscrivere la storia di una comunità". E non starò qui a narrarvi l'importanza che ebbe per l'at-tuale assetto del territorio dell'al-topiano l'idea del Conte di Modica di concedere in enfiteusi le terre della Contea.
Ma mi chiedo è proprio così difficile per le istituzioni trovare il modo di favorire quest'opera di restauro? È proprio impossibile porre un freno a questa eccessiva crescita dell'edificazione del nuovo nel settore privato quando essa potrebbe ugualmente operare sul già edificato così bisognoso di manutenzione e recupero? Ed è invece estremamente urgente la realizzazione di indispensabili infrastrutture, non ultimi gli impianti fognari e idraulici che stanno inquinando e compromettendo staticamente la Cava di Santa Domenica.
Noi ragusani chiamiamo la smania edificativa “u mali a petra" che non riusciamo più a esorcizzare, forse perché nel frattempo abbiamo spazzato via quelle piccole, preziose edicole votive davanti alle quali pregare contro questo nuovo devastante e contagiosissimo morbo.
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