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Ragusa Sottosopra

n.6 del 03/12/2010

Il recupero del paesaggio attraverso il ripristino della linea ferrata SR-RG-Vi

Elisa Muccio, Architetto - Danilo Dimartino, Architetto

foto articoloProgetto di recupero del paesaggio attraverso il ripristino della linea ferrata Siracusa-Ragusa-Vizzini

Una traccia è un segno, un'orma, una scia. Rivela preesistenze, antiche relazioni, testimonianze. La tesi si colloca in un'ipotesi di riconversione di questa traccia in infrastruttura leggera, proponendo di ricucire le impercettibili relazioni fatte di “paesaggi, manufatti, reperti e storia”. Sarà il progetto a mettere in evidenza le risorse esistenti: sarà questo il “progetto silenzioso”.

Inizialmente questo studio avrebbe dovuto riguardare la rifunzionalizzazione dell'ex tracciato ferroviario a scartamento ridotto in concessione alla SAFS, completato nel 1923 e smantellato nel 1956, che collegava la stazione di Siracusa marittima a Ragusa e a Vizzini. Le poche e frammentarie informazioni iniziali si sono moltiplicate a tal punto che il primo presupposto, il connubio ferrovia-territorio che si era venuto a creare, si stava trasformando in un sistema complesso, un fitto tessuto di relazioni tra la ferrovia e più territori “altri”. L'area coinvolta è divenuta così un insieme esteso di paesaggi ed oggetti materiali ed immateriali, fino a comprendere una superficie che occupa quasi interamente l'entroterra della Sicilia sud-orientale.
Nel tempo si sono succeduti in ordine sparso incontri, dialoghi, riflessioni individuali, ma ancor più corali, collaborazioni con enti pubblici, elaborazioni di disegni, mappe, schizzi, che man mano prendevano forma e si accumulavano sul nostro tavolo. Ne è venuto fuori un lavoro che, partendo dall'esistente, suggerisce delle linee di riutilizzo di quelle aree in vista di uno sviluppo sostenibile che possa offrire occasioni reali di crescita economica.
Una volta dismesso, il tracciato è rimasto indelebile nella memoria degli abitanti e nonostante abbia subito modificazioni, sia nella sede che nelle immediate vicinanze, mantiene intatte le potenzialità. E' stato dunque necessario avere abilità da ricercatori per riuscire a cogliere le impronte lasciate da questa traccia più di cinquant'anni fa, che intanto si sono mascherate, camuffate con il paesaggio circostante. Il fine è quello di ottenere una lettura dettagliata di questa “linea invisibile”, confusa tra proprietà private, strade, campi coltivati o incolti, ma che conserva comunque un carattere forte, capace di unire territori e popoli.
Proprio dall'osservazione e studio di questo paesaggio, ci si trova di fronte ad una molteplicità di contesti prossimi all'ex ferrovia, a più “paesaggi”: dal mare di Siracusa all'area montana degli Iblei, dalla valle dell'Anapo (con la Necropoli di Pantalica) ai paesaggi collinari del Calatino, dal tratto urbano di Ragusa ai boschi e le pinete disseminate lungo il tracciato.
La ricerca, a questo punto, si concentra sul tratto della provincia di Ragusa, ovvero quello che dalle stazioni di Giarratana e Monterosso Almo, confluisce a Bivio-Giarratana per giungere a Ragusa, attraverso Chiaramonte Gulfi. E' il progetto stesso che si farà selezionatore degli elementi fondamentali che entreranno a far parte di esso. Così se dall'alto provassimo a dare uno sguardo a questo territorio, esso ci apparirebbe suddiviso da lunghe file di muri, detti a secco, in tafoto articolonti fazzoletti di terreno di forme diverse, adibiti a colture e usi altrettanto eterogenei. Noteremmo inoltre una ricca costellazione di fabbricati rurali distribuiti sul territorio, le cosiddette masserie, che furono il motore dell'economia iblea. Salterebbero indubbiamente alla vista le estese aree boschive e le cave degli affluenti del fiume Irminio, che con la loro forma a stella quasi “toccano” la linea ferrata. Ad un occhio più attento non sfuggirebbe di certo il notevole sistema di terrazzamenti, splendido esempio dell'opera umana sul paesaggio. Come anche le numerose neviere presenti già dall'800, scavate nei pressi dell'ex stazione di Chiaramonte Gulfi.
Il progetto, quindi, “si veste” di una maglia elastica che a volte si dilata, altre volte rimane aderente al tracciato annettendo e tenendo insieme spazi ora lineari, in corrispondenza di gallerie o massicciate, ora ampi, indefiniti, che si perdono nell'orditura dei campi coltivati o in mezzo ai fitti alberi delle pinete. In quest'ottica le strategie messe a punto per il progetto si basano su una classificazione del materiale interessato secondo una suddivisione in punti, linee e superfici.
I punti rappresentano tutti quegli elementi come gli ex-caselli, le masserie e i casali adiacenti, le neviere, che vengono inseriti con ipotesi di recupero e riuso.
Le linee fanno riferimento a quella rete infrastrutturale che interseca o corre parallelamente alla ferrovia come le strade principali, la sentieristica, la ferrovia attiva e che costituisce la trama di collegamenti e aperture verso il territorio circostante. Infine le superfici definiscono grandi macchie che assumono la forma di boschi, aree a verde, aree archeologiche, campi coltivati.
Inoltre, per comodità, l'area è stata suddivisa in quattro ambiti specifici e omogenei d'intervento, dove già nel nome di ognuno troviamo l'aspetto peculiare dell'area: la linea e la città; la linea e la campagna; la linea e i boschi, la linea e la montagna. Su questo è stato poi sviluppato il progetto chilometro per chilometro. Tuttavia il mero studio di un'infrastruttura leggera che si snoda lungo questi paesaggi viene trasformato in un pretesto, con l'obiettivo di considerare invece i territori attraversati nella loro interezza. Per ogni ambito dopo un attento esame e indagine del tracciato e del suo intorno, si dispongono tutta quella serie di infrastrutture necessarie come aree di sosta attrezzate, punti panoramici, punti per il nolo di biciclette, parcheggi interscambio, possibilità di ristoro e pernotto. Allo stesso tempo i progetti previsti riutilizzano il ricco patrimonio esistente, fatto di infrastrutture, manufatti dell'ex ferrovia come i caselli e le stazioni, e forniscono di volta in volta un approccio progettuale diverso ma sempre ben integrato al territorio. Le tematiche di progetto del primo ambito offrono una gran quantità di spunti progettuali e situazioni critiche, come l'area retrostante la stazione per la quale si prevede la creazione di uno spazio collettivo, o i vuoti adiacenti alla linea che attraversano la zona artigianale per i quali si immaginano spazi attrezzati a servizio della zona stessa. Le proposte progettuali dal secondo ambito in poi si sveleranno di tanto in tanto con interventi quasifoto articolo mimetizzati al contesto, finalizzati soprattutto alla fruizione totale delle aree.
Ad esempio si prevede la messa in sicurezza dei sentieri naturalistici delle cave dell'Irminio, la creazione di un itinerario che colleghi le numerose neviere, una volta ristrutturate, e l'incremento degli uliveti esistenti attraverso l'impianto di nuovi, consociati ad erbe aromatiche, in modo da garantire la conservazione della biodiversità.
Infine l'ultima parte della ricerca si confronta con le problematiche riscontrate nel tratto urbano del progetto, ricadente nel primo ambito “la linea e la città”, attraverso una serie di studi, analisi, ricerche cominciate con l'attività del tirocinio svolto all'interno dell'ufficio della Soprintendenza ai BB.CC.AA di Ragusa.
Il tratto dell'ex-ferrovia che attraversa tutta Ragusa è stato per metà preservato nella parte che costeggia la ferrovia attiva, il quale si addentra nel tessuto urbano compatto e consolidato del centro della città. Il resto del tracciato solca la periferia est di Ragusa, frammentaria e disomogenea, interessata dalle forti trasformazioni urbane degli ultimi decenni. Qui per metà è divenuto una strada asfaltata di collegamento, la via A. Cartia, dove ai lati è in atto un processo di edificazione. Superato l'incrocio con via E. Fieramosca, la via A. Cartia, per più di 500 m. diventa sterrata; successivamente all'incrocio con via B. Colleoni fino a quello con viale delle Americhe torna ad assumere l'aspetto che doveva avere immediatamente dopo la dismissione, una striscia di terreno incolto delimitata da due muretti a secco, attorniata dalla campagna periurbana ragusana. Questi territori della periurbanità provengono dall'erosione della campagna da parte della città diffusa, lungo i quattro assi principali, che raccolgono ai loro lati l'espansione periferica della città, lasciando “vuoti” dei veri e propri cunei di spazi agricoli liberi d'infiltrarsi fino ai margini urbani e oltre. Questi sono gli spazi delle future periferie, quelli maggiormente investiti dai processi di trasformazione, dei vuoti in attesa di valorizzazione immobiliare, oppure spazi che diventeranno svincoli, aree interstiziali difficili da interpretare. Così il criterio da seguire consente al progetto di rimettere in piedi geografie scomparse, disporre in sequenza i paesaggi lungo un percorso narrativo e itinerante: sarà la città stessa che dovrà farsi carico di tutelare la campagna prossima, assicurando la permanenza del vuoto. Un progetto possibile potrebbe partire dalle potenzialità degli spazi vuoti, non cancellandoli, affinché tornino ad essere “territori”.
Seguendo queste tesi, abbiamo colto il suggerimento di Donadieu, uno dei massimi esperti europei del paesaggismo in Europa, secondo il quale “lo spazio periferico non si comprende stando al centro, ma mettendosi ai bordi”. In questo modo abbiamo cercato di leggere la città al negativo, ovvero partendo proprio dal bordo, da quel “vuoto” che penetra nella trama più o meno sgranata del “pieno” e, rovesciando una concezione comune, abbiamo concepito la città come la “periferia della campagna”. Così, attraverso gli studi eseguiti sull'edificato, sulla rete viaria e sull'uso del suolo compresi tra via Colleoni e vifoto articoloale delle Americhe, emerge un tessuto spalmato sul territorio, con forti carenze nell'ambito dei servizi primari eccezion fatta per l'asse commerciale di viale delle Americhe.
Appaiono evidenti la “scollatura” e chiusura tra i due aggregati urbani a causa della mancanza di vie di collegamento, la carenza nell'utilizzo dei suoli a coltivo e la quasi assenza di aree a verde pubblico.
Da queste considerazioni, e in linea con la strategia generale, la città “richiede” un progetto con l'obiettivo di recuperare e “risignificare” questi spazi urbani marginali in nuove aree centrali abitabili. Il progetto, dunque, prevede la creazione di un parco concepito come una macchia che penetra in tutti gli interstizi tra le costruzioni e che porta con sé l'idea di un corridoio ecologico all'interno del quale riproporre le essenze tipiche della macchia mediterranea, come il leccio, il lentisco, l'euforbia, la ginestra, unito a porzioni di territorio adibite alla coltivazione della campagna urbana con specie endemiche, in maniera più o meno produttiva, come uliveti, carrubbeti, mandorleti. Il tutto accompagnato da vere e proprie “sacche” di piante ed erbe aromatiche, quali la lavanda, la salvia, il timo, la rosa canina e creare così dei giardini sensoriali.
All'interno del parco, per meglio rispondere alle esigenze e alle criticità di questa porzione di periferia, sono state messe a punto quattro diverse tipologie di concepire lo spazio verde-agricolo. Il “giardino intercluso”, vero spazio marginale tra il costruito, dove si prevede una densificazione del tessuto attraverso il verde attrezzato dei giardini didattici, data anche la vicinanza con due istituti d'istruzione primaria. Il “cul de sac” è una sorta di imbuto attorniato sui tre lati dalle residenze e ad oggi costituito da campi incolti. Qui il progetto prevede la realizzazione di orti urbani come strumento di riqualificazione cittadina e integrazione sociale. Il “corridoio” passante tra due porzioni di città, in cui prevedere dei passaggi attrezzati che uniscano la città stessa e, con un'anima modulare ed eterogenea, contengano i servizi principali per i residenti, come sportelli di uffici pubblici, attività sportive, piccole attività commerciali, mercatini periodici, fornendo così luoghi e spazi d'incontro quotidiani.
Fino alla “campagna aperta” da salvaguardare, arginando l'ulteriore costruzione dei margini già edificati e incentivando le colture di specie vegetali endemiche e tradizionali.
I buoni progetti, o meglio i buoni “risultati”, non nascono spontaneamente, ma soltanto da un'azione congiunta tra i soggetti interessati, poteri pubblici, privati e cittadini. Ciò presuppone una presa di coscienza da parte degli amministratori locali, con la consapevolezza che le loro scelte possono cambiare totalmente le sorti di un territorio, sia in positivo che in negativo.
Il risultato di questo studio, che per noi rappresenta un OUTPUT, speriamo possa trasformarsi in INPUT, un punto di partenza per indagini e riflessioni future. E' solo così che questi “territori inerziali”, ovvero luoghi che possiedono delle doti “bloccate”, potenzialità intrinseche che aspettano di essere scoperte, diventeranno dei “territori dinamici”.

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