Ragusa Sottosopra
n.6 del 03/12/2010
Le opere di Matteo Battaglia (seconda parte)
Andrea Ottaviano, Storico
Al Battaglia freschista appartengono due grandi realizzazioni che ci sono rimaste. Nella chiesa di Santa Maria di Gesù, progettata quasi sicuramente dall'arch. Frà Marcellino dell'Ordi-ne dei Padri Minori Riformati, ha dipinto nel 1750 la parete absidale e gli affreschi della volta. Sull'arco trionfale è affrescato un grande tendaggio a guisa di sipario di un palcoscenico, al cui interno vi è uno spettacolare componimento pittorico raffigurante un tempio con tendaggi e colonne tortili con tralci di viti attorcigliate nella spirale. All'interno di questa scena monumentale si apre una finestra rettangolare che dalla chiesa consente la vista del coro, sopraelevato, dove stavano i monaci.
La seconda grande realizzazione si trova nella chiesa di Santa Lucia. Nel 1773 Filipponeri Flaccavento si impegna con i procuratori della chiesa a dipingere un tetto di tavole e le altre figure delle cornici, ma l'opera è firmata dal Battaglia. L'intera superficie della volta piatta è affrescata con una composizione formata da quattro mensoloni per lato, sui quali poggiano altrettante colonne con i capitelli che reggono una superficie finemente decorata al cui interno sono disposte tre tele: in quella centrale vi è una Crocifissione posta su una barca con il mare in tempesta; in quelle laterali Mosè con l'adorazione del serpente e Gesù Bambino che spreme un grappolo d'uva che pende da un tralcio di vite attorcigliato attorno alla croce. Agli angoli e negli spazi tra le mensole si trovano cartigli sorretti da angeli e figure allegoriche; nella cornice soprastante, che corre lungo tutto il perimetro dell'edificio, scene del martirio di Santa Lucia, nella cornice dell'abside due scene del vecchio testamento. Sull'angolo sinistro del tetto un cartiglio con il gallo (abituale segno nelle scene della Passione perché si riferisce a San Pietro che negò tre volte di conoscere Cristo prima che cantasse il gallo) e la firma con la data. Infine, quasi ad alleggerire la solennità delle scene allegoriche e di martirio, si trova un incredibile piccolo dipinto: un topolino, sopra la cornice della finta finestra della navata sinistra, fugge verso l'ingresso. Dal lato opposto, un gatto, sotto la consolle nella tela della Natività, osserva vigile e sornione l'interno della chiesa.
La scena con il sacrificio dell'Agnello che si trova sulla cornice dell'abside è identica ad un'altra opera che si trova nella chiesa della Maddalena: il grande paravento, restaurato negli anni scorsi, che è documentato con atto notarile (il contratto è firmato dal Battaglia).
In un anno non precisato, anteriormente al 1756, firma un'altra pala d'altare: il martirio dei Santi Cosma e Damiano, tela che attualmente si trova nell'ufficio del Parroco della Cattedrale.
Grazie a questa tela si conserva la memoria della chiesa dedicata a questi santi. La chiesa ad essi dedicata esisteva già agli inizi del XVII secolo e ad essa era aggregato lo “spitale nuovo”, quello dei poveri. Erano poche stanze ed un'infermeria, costruite e mantenute dalla popolazione, ma per quei tempi uno “spitale” era una grande conquista. La chiesa è menzionata nelle visite pastorali del 1621, 1683,1694, 1726.
Col terremoto l'ospedale cadde: oggi di esso rimane un corridoio a lato della chiesa della Maddalena e una stanza trasformata in cappella a lato dell'altare maggiore. Ma la chiesa non andò distrutta, come si crede, perché in una “giuliana” (elenco) degli atti della Corte Vicariale di Ragusa, in data 1756, si legge “lettera di aggregazione della chiesa dello Spitale Nuovo sotto il titolo dei SS. Cosma e Damiano alla Parrocchiale di San Tommaso Apostolo”.
Nel 1762 altra lettera: “ordine di demolirsi la chiesa dello Spitale Nuovo”; nel 1763 altre missive per demolire la chiesa. Poi il silenzio; alla fine l'edificio fu demolito. Chiesa e Opera Pia sotto il titolo dei SS. Cosma e Damiano andarono inglobate nel beneficio della Parrocchia di San Tommaso che occupava la chiesa della Confraternita della Maddalena: ma questa è un'altra storia.
I ruderi furono venduti al Barone Giampiccolo di Camerana che vi costruì il palazzo che oggi vediamo all'angolo di Piazza Pola.
Nella chiesa di San Giuseppe si trova il dipinto più gradevole: una leggiadra Sacra Famiglia con le ciliegie. Fu commissionato intorno al 1775 per la nuova chiesa che era già in fase di ultimazione. Vi affrescò pure “Lo Spirito Santo” nella volta del cappellone. Altra tela che conosciamo, ma non ultima per importanza né per epoca, è quella di “Sant'Orsola e le Compagne” proveniente dalla chiesa di Santa Barbara e attualmente in quella del Purgatorio. Il suo martirologio parla di questa Santa del IV secolo che assieme a 11.000 compagne si imbarcò per andare a Roma ed evitare un matrimonio indesiderato. A Roma Attila si invaghì di lei e le risparmiò la vita, ma al suo rifiuto di sposarlo la fece uccidere trafiggendole la gola con una freccia.
Nel 1535 suor Angela Merici fondò l'Ordine delle Orsoline, ma ai tempi in cui fu dipinto il quadro l'Ordine non era presente a Ragusa. Le 11.000 vergini derivano da un errore dell'antico copista che scambiò il nome di una delle compagne che si chiamava ”Undicimilla” con il numero delle compagne della Santa, che molto più realisticamente erano undici.
Oltre alla rappresentazione di Sant'Orsola con le compagne, nella parte inferiore è rappresentata la città di Messina con il suo porto interno, con le navi a vela, ma soprattutto con la grande fortificazione pentagonale - la cittadella reale - con i suoi cinque bastioni, fatta edificare da Carlo V tra il 1578 e 1681 per difendere la città dai francesi, ma soprattutto come segnale di forza rispetto ai messinesi, dopo la sanguinosa rivolta del 1644, repressa dal Vicerè spagnolo Conte di Santo Stefano che, per disprezzo e ad onta della città, fece demolire chiese, conventi e abitazioni lungo la “falce “del porto e si portò in Spagna (dove si trovano) i diplomi dati alla città da tutti i re a partire da Ruggero il Normanno.Come e perché Matteo Battaglia abbia dipinto questo quadro rappresentando la città e il porto antico di Messina non ci è dato sapere: non si conosce neppure la committenza.
Una spiegazione plausibile è che probabilmente ebbe per le mani un'incisione di Filippo Juvarra (apparteneva al Consolato degli argentieri di Messina) che ritraeva città e porto di Messina. Proprio in quel periodo Juvarra realizzò il grande ostensorio per la chiesa di San Giorgio di Modica. Di un ultimo dipinto che esiste a Ragusa Ibla si dirà in altro articolo.
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