Ragusa Sottosopra
n.5 del 05/10/2010
Passeggiando nei ricordi di Vincenzo Giompaolo
Giuseppe Nativo, Giornalista
Cosa sono i ricordi? Ombre silenziose che esalano dal cuore, passano per la mente, si immergono nell'oceano della memoria approdando su una macchia d'inchiostro che scrive parole di ieri. “I ricordi non hanno né rughe né acciacchi né bianchi capelli”. Ciò, in estrema sintesi, è quanto sostiene Vincenzo Giompaolo nel suo recente volume “Passeggiando nei ricordi” (Edizioni Grafiche Santocono, Rosolini 2009, pp. 128).
Si tratta del settimo lavoro di Giompaolo che segna un mutamento nel cammino delle sue pubblicazioni (dal 1995 con “Feste del Popolo Siciliano”, al 2008 con “Ragusa Festosa”) volte soprattutto ad esaltare l'immagine, colta nella sua intima essenza ed immortalata con un click dalla sua inseparabile macchina fotografica. Accanito cultore di etnografia, con particolare riferimento agli studi sulle tradizioni popolari siciliane, assecondando la sua passione per la fotografia ha prodotto, in oltre tre decenni, diverse migliaia di stampe che costituiscono un nutrito archivio insieme ad un notevole materiale magnetofonico. Un “raccoglitore” di immagini, ma anche di ricordi che in quest'ultima opera ha voluto assemblare proponendosi al lettore nella “nuova” veste di scrittore. Nelle precedenti pubblicazioni è la fotografia che, con peso preponderante, accompagna il testo nel suo ruolo di guida “iconografica”.
“Passeggiando nei ricordi” segna, invece, il cambiamento dell'architettura narrativa in quanto vengono ribaltati i ruoli: è il testo che rende agevole il viaggio nell'universo dei ricordi di Giompaolo attraverso le foto. Sono quest'ultime che, pur nella loro apparente “staticità”, fanno traghettare il lettore verso quei frammenti di vita che escono dalla memoria per ricongiungersi all'anima.
Suoni, colori, emozioni di un tempo si congiungono in un “intreccio” di sensazioni che si alternano e si sovrappongono alle figure e vicende narrate di cui l'autore si serve per presentare i due “mondi”, Ragusa e Palazzolo Acreide (Sr), in cui ha vissuto le sue esperienze di vita. Palazzolese di nascita, ma ragusano di adozione, l'emozione lo travolge quando il pensiero vola alla sua “piccola casa natia vicina alla chiesa che venera l'arcangelo santo con spada, corazza e bilancia”. Chiudendo gli occhi ricorda quando, all'alba appena accennata, sentiva lo “scalpitio di zoccoli, suono di sonagli e tintinnio di ruote” provocato dai contadini che, formando un lungo corteo, si incamminavano con le zappe sulle spalle o sui carretti per andare a lavorare la terra. Voci, grida, fischi riempivano il paese dove, di primo mattino, si notava la presenza di tante figure ormai dimenticate: il dispensatore di ricotte fresche, il venditore ambulante di uova, il carbonaio Don Matteo, che “conduceva il suo carretto seduto di sbieco e con le gambe pendule”. Sullo sfondo una vecchia Ragusa, la cui visione serale, tra le tante piccole luci e vetuste tortuose stradine, ancora inebriate da mille odori di cibi caserecci, affascina ed ammalia pensando ai suoi “maestosi palazzi barocchi dei signori di un passato remoto, impastati di storia austera” che “spiccano, tra le modeste dimore, come candide belle fanciulle tra una folla di anonimi visi”. E che dire dei personaggi descritti da Giompaolo nella loro cruda e genuina “normalità”, talora sconfinanti nel grottesco, come lo scapolone “Ron Turuzzu” (don Salvatore), estroso e bravissimo artigiano del legno, che nel suo laboratorio-casa dedicava anima e corpo alla progettazione e costruzione di carri carnevaleschi impartendo lezioni a non pochi ragazzotti di ogni età, i quali, non di rado, amavano intrattenersi nell'alloggio del “maestro” (in quella stanza da lui stesso denominata “camera ardente”) per cimentarsi, in gruppetti, nell'arte dell'onanismo, “in un'apoteosi di focosi ardori giovanili”. Vi sono figure dall'animo estremamente sensibile come “Nuvola Rossa” e “Cavallo Pazzo”, due tipi magri, l'uno attempato e col passo lento, l'altro con “andatura ferma e fiera” e col viso stralunato, venditori ambulanti di “calze da donna di filanca e penne Biro”, la cui attività si svolgeva tra Ragusa ed i paesi del Val di Noto. Erano compagni nel lavoro e nella vita senza per questo costituire motivo di scandalo, così reciprocamente affezionati che la dipartita dell'uno provocò la morte dell'altro.
Un variegato universo gravido di ricordi quello di Giompaolo che infonde nel lettore “un sorriso ed un palpito in petto” mentre, chiudendo gli occhi, la vita appare come una fata ed i pensieri “si bagnano di immagini soavi”.
Aggiungi questo link su: