Ragusa Sottosopra
n.4 del 19/08/2010
San Nicolò di Mira
Andrea Ottaviano, storico
Pubblichiamo la seconda parte della ricerca storica condotta dal dott. Ottaviano
Il vicario generale e lo stesso governatore della Contea non riuscirono nell'intento di sistemare razionalmente la comunità dei nicolaisti, suddividendo i parrocchiani come disposto dal Vescovo Orosco, tanto che nel 1602, nel corso di un'altra visita pastorale, questi trovò la chiesa di San Nicolò aperta al culto e la situazione immutata: nella relazione non vi è alcun cenno sulla soppressione della Parrocchia.
Il 12 novembre 1607 il nuovo vescovo mons. Giuseppe Saladino, nel corso della sua prima visita pastorale, ritorna ad abolire formalmente la Parrocchia e rende la chiesa di San Nicolò sacramentale della Matrice San Giorgio, dando incarico al Vicario Generale della diocesi di informare il parroco di San Giorgio che è suo obbligo provvedere a mandarvi i cappellani per il culto. Scrive il Vicario: Rev.me noster, havendosi d'ordine di Mons. N.ro Ill.mo la chiesa di S.to Nicolao fatto chiesa sacramentale di S.to Georgio, essendoci necessario metterci li cappellani per amministrarvi li Sacramenti, m'ha parso farvi la presente per la quale vi dicimo, commettimo et ordinamo expresse assignari a detta chiesa di S.to Nicolao due cappellani di quelli che sono nella Matrice S.to Georgio…Vicario Generali Diocesis Syracusanae (V).
Questa volta la Parrocchia fu soppressa, ma la chiesa continuò tranquillamente ad essere officiata e i nicolaisti, anche se ormai parrocchiani di altre chiese, rimasero uniti e devoti al loro Santo.
Della chiesa di San Nicolò conosciamo solo la forma: era a croce latina, con sette altari. Tra il 1525 e gli anni successivi vi si eseguirono importanti lavori (ne è prova l'atto notarile del ritrovamento dell'encolpion e il “breve” del vescovo Ludovico Platamone che concede le indulgenze a chi fa donazioni per la fabbrica della chiesa), tra cui la nuova abside di forma circolare con otto vele divise da altrettanti costoloni che si univano nella grande chiave di volta pensile di pietra asfaltica, con le figure di San Pietro e San Paolo, di recente ritrovata nella fabbrica della facciata di San Giorgio e oggi esposta nel museo della Chiesa Madre.
Sino al terremoto del 1693 la situazione rimase immutata: la chiesa era aperta al culto con la presenza dei cappellani mandati dalla Chiesa Madre. Il terremoto non la fece crollare, le arrecò danni lievi, tanto che nel 1696 il vescovo Asdrubale Termini la annovera tra quelle aperte al culto e anche Mons. Marini nel 1728 la trova regolarmente officiata. Nel 1693 cambiano gli equilibri tra le parrocchie e tra le fasce sociali, per cui mi atterrò nella narrazione a descrivere solo quello che è pertinente alla storia della chiesa.
Subito dopo il terremoto una parte dei Sangiovannari costruisce una baracca provvisoria “in planitia Montis Carmeli” e pretende di spostarvi la sede parrocchiale e contemporaneamente di separare il pluricentenario beneficio delle due chiese detenuto dal Beneficiato Parroco della Matrice di San Giovanni Battista (e anche di San Nicolò), mantenendo però l'antico territorio parrocchiale ed autoannettendosi quello sopra il Carmine. Questo primo atto scatenò una vera e propria guerra che interessò tutta la città e che coinvolse la chiesa di San Nicolò.
Vista la situazione il Vicerè, Cardinale Francesco Lo Giudice, nel 1703, essendo stato decapitato per alto tradimento verso il Re di Spagna il Conte Tommaso Henriquez Cabrera gran protettore dei Sangiovannari, inviò a Ragusa il proprio Vicario Don Pietro La Grua che cercò di placare gli animi e di mettere d'accordo le varie fazioni proponendo di costruire una sola chiesa intitolata ai due Santi,Giorgio e Giovanni, in un posto equidistante dalle due chiese, da edificarsi proprio dove era la chiesa di San Nicolò. I nicolaisti avevano già cominciato a riparare l'edificio e i lavori erano praticamente conclusi, per cui questa proposta li trovò fieramente contrari. Tuttavia per le fortissime pressioni esercitate, soprattutto sulla famiglia La Rocca, essendo stato loro prospettato che il sacrificio avrebbe portato la pace tra tutti i cittadini, acconsentirono. Dopo due anni di trattative, finalmente, il 25 marzo 1705 i maggiorenti di tutte le parti in lite sottoscrissero l'accordo con atto stipulato presso il notaio Paolo Francalanza. Per dare anche la benedizione del Cardinale Vicerè alla stipula, intervenne pure il notaro apostolico, il magnifico frà Antonino Grana da Modica. Ma immediatamente dopo la stipula dell'atto una parte dei Sangiovannari si trasferì sull'altopiano del Patro, rompendo definitivamente l'accordo.
Esultarono i nicolaisti per lo scampato pericolo e si diedero con gran lena a completare gli arredi della chiesa. Tra l'altro ordinarono ad un argentiere messinese un magnifico busto di San Nicolò, di argento a sbalzo finemente cesellato.
Nel 1710 il busto fu pronto e i nicolaisti andarono a prenderselo a Messina.
Al ritorno si fermarono a Vizzini nella Chiesa Madre di San Gregorio Magno dove fecero gran festa. Intanto continuavano a litigare le due fazioni dei Sangiorgiari e dei Sangiovannari; le due chiese erano rette da viceparroci, e per i violenti contrasti non riusciva a insediarsi un titolare, tanto che un beneficiato delle due Parrocchie, dopo qualche anno di attesa, preferì rinunciare ed andare a vivere altrove, in pace. Il Clero della Matrice, in quei tempi, aveva due obiettivi: ottenere la Collegiata e costruire una nuova chiesa, considerato che stavano ancora nella baracca rimediata sulle rovine dell'antico tempio. Tant'è che il 19 dicembre 1721, il Vicario Foraneo e Vicerettore della Matrice e di San Giovanni, don Francesco Nicastro, spinto dal Capitano di Giustizia e da alcuni giurati, si premura di informare il Vescovo Giuseppe Termini, che si trovava in visita pastorale a Scicli, che era in animo dei Sangiorgiari di costruire la nuova Matrice ex novo dove era la chiesa di San Nicolò; il sito era molto conveniente perché posto al centro del paese, facilmente accessibile per i parrocchiani di San Giorgio e per quelli di San Giovanni rimasti nel loro antico territorio attorno alla chiesa delle Anime Sante del Purgatorio. Questi ultimi addirittura erano disposti a sovvenire con corpose donazioni alle necessità della costruenda chiesa. Il Vicario Foraneo aveva già ricevuto forti pressioni in questo senso: la devotione di detti devoti et affezionati esponenti non è di riedificare la vecchia chiesa per essere quasi fuori città, lontana dalla sua propria parrocchia, che anzi esiste nel suolo di San Thomaso, remota dal concorso di popoli. Per lo quale motivo hanno pensiero concorde, hauta prima la licenza di Monsignor Vescovo, portare li SS. Sacramenti nella chiesa di Santo Nicolò di questa suddetta città, filiale e sacramentale di detta Matrice, e proprio a fondo d'essa, e doppo, con l'ajuto di Dio, dar principio a fabricare detta Matrice in detto luogo di San Nicolò. Anche i parrocchiani di San Gio. Batta rimasti ad abitare (nel vecchio sito n.d.a.) nutrono questa aspirazione e supplicano di non prestar fede a malevoli che vogliono ricostruire la vecchia chiesa. Detta Chiesa Madre deve essere in medio civitas per alimentare li fedeli cristiani con il pabulo del Santo Vangelo(VI).
I più diretti interessati, i fedeli di San Nicolò, per bocca dei loro procuratori, informano il Vicario che, anche se a malincuore, sono disposti a cedere il suolo di San Nicolò per l'edificanda chiesa di San Giorgio, purché cessino le discordie; pongono però due condizioni: che, a loro spese, nella sorgenda Matrice siano edificate due cappelle, una a San Nicolò e una ai SS. Pietro e Paolo, e che l'amministrazione dei beni e delle rendite di San Nicolò dovrà essere fatta dai procuratori e separata da quella di San Giorgio. A questo punto viene informato il Vescovo per avere il suo “placet”.
Aspettando il suo benestare, quando tutto sembrava ormai deciso, la fazione dei Sangiorgiari pro vecchio sito si tira indietro sostenendo che i nicolaisti, per loro oscuri fini, andavano per il paese mendicando firme per appoggiare la loro proposta e che due cappelle, nella futura Matrice, erano troppe; inoltre qualche secolo prima la chiesa di San Giorgio sorgeva presso San Nicolò e si preferì spostarla sul sito attuale, dove giacciono i suoi resti sopravvissuti al terremoto. Riportandola nel sito di San Nicolò si verrebbe a trovare più vicina al territorio di San Giovanni che a quello suo. Poi ricostruendo l'antica chiesa i detentori di “jus patronato” nelle varie cappelle le avrebbero ricostruite a loro spese mantenendo i diritti.
Durante questa ennesima lite venne a mancare il Vescovo Termini che era favorevole al trasferimento a San Nicolò, e il Vicario, esasperato, l'11 agosto 1722 invita tutti i contendenti a presentare una memoria tramite i loro procuratori che sarebbero stati ascoltati dalla Gran Corte Vicariale Siracusana. I fautori del vecchio sito, allora, hanno un ennesimo ripensamento e dichiarano che cederanno il suolo di San Nicolò. Poi le carte tacciono.
L'interesse primario, per il clero di San Giorgio, era la costituzione della Collegiata, per cui si arriva sino al 1733 e solo in quell’anno, raggiunto l'obiettivo, ricomincia la questione. Abbandonando ogni precedente intenzione il Capitolo di San Giorgio, già insediato, si rivolge nientemeno che al Re per avere l'autorizzazione a costruire la nuova Matrice dove c'era l'antica San Giovanni. Altri quattro anni di lite, poi con supplica del 1 luglio 1737 il Capitolo chiede al Vescovo Matteo Trigona di potersi trasferire nella sede di “San Giovanni derubato”, ormai divenuto territorio di San Giorgio dopo l'atto di concordia del 1729. Prudentemente il vescovo con un suo “breve” del 9 luglio 1737, paventando l'esplosione di un'altra lite generalizzata data la singolarità della richiesta, invita tutti i rettori e i procuratori delle chiese a inviargli per scritto il loro parere: ovviamente non ce n'è uno uguale all'altro. Ricominciano le liti, che però cessano improvvisamente. Il Capitolo il 10 giugno 1738 invia una supplica al Vescovo perché autorizzi il trasferimento dei Sacramenti nella nuova “capanna”. Il Vescovo emette subito l'editto di trasferimento e autorizza la grande processione. Il 28 giugno 1738 il Capitolo e tutto il popolo con una solenne cerimonia trasferiscono all'interno della chiesa di San Nicolò tutto quello che si era salvato dal terremoto, comprese le ceneri dei Caprera.
Da quel momento San Nicolò cessa di esistere, vi si costruisce tutto all'intorno il transetto, e quando fu possibile celebrare la Messa nel nuovo altare, la chiesa venne smantellata e i materiali recuperati utilizzati nella fabbrica della nuova Matrice. La più antica chiesa di Ragusa continua a vivere nella chiesa Madre di San Giorgio: la pala d'altare di San Nicolò è posta sull'altare del transetto di fronte a quella del Patrono, e le sue cose più preziose si possono ammirare nel museo di San Giorgio.
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