Ragusa Sottosopra
n.3 del 23/06/2010
Elmi per gli uomini elmi per gli dei
Giovanni Distefano, Archeologo - Saverio Scerra, Archeologo
frutto anche del sostegno di enti pubblici e sponsor privati
Si è rivelato un avvenimento culturale di portata internazionale la mostra che vede riuniti a Ragusa, al primo piano del restaurato Palazzo Garofalo, in un unico percorso espositivo (fino al 28 giugno), alcuni tra i più bei cimieri del mondo greco e romano appartenenti a varie collezioni (Museo di Stato di Berlino, Museo Archeologico di Ragusa, Museo di Camarina, Museo di Gela).
Un evento cui si è potuto dar vita grazie all'ormai consolidato legame tra i Musei di Stato di Berlino e la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Ragusa che, coadiuvati dalla Pro Loco di Ragusa e supportati dal Comune, dalla Provincia e dalla Camera di Commercio di Ragusa, hanno realizzato una non comune collaborazione tra enti pubblici e sponsor privati che hanno lautamente contributo a finanziare la manifestazione.
Un evento da non mancare per i circa 8000 visitatori che fino ad oggi hanno affollato le sale della mostra per constatare, ad un palmo dal loro naso, la bellezza di queste “ineffabili” armi.
Il percorso espositivo si dipana sostanzialmente per tre sale precedute da una sala introduttiva che guida il visitatore nel mondo delle armi in Grecia e a Roma grazie a un pannello esplicativo al centro di essa, alla possibilità di leggere lacerti di versi da Omero, Callino, Tirteo e ad un video che, con l'ausilio di scene tratte da alcuni colossal del cinema americano, spiega alcune tattiche di combattimento nel mondo antico. Le altre tre sale sono dedicate alla esposizione vera e propria, ordinata in base a criteri cronologici e tipologici e corredata da pannelli relativi alla storia e alla provenienza dei singoli reperti.
Nella prima sala sono raccolti gli elmi più antichi tra cui i due elmi della fine del VII sec. a.C., di tipo rispettivamente corinzio e corinzio-illirico, rinvenuti nel mare di Camarina, nei pressi dell'anco-raggio di Punta Braccetto, in prossimità dei resti di un vascello commerciale. Altri due elmi corinzi a destra dell'ingresso e al centro della sala, di provenienza berlinese, sono, con molta probabilità, degli ex voto dall'alveo del fiume Alfeo che scorre a Sud dell'area del santuario panellenico di Zeus ad Olimpia dove, come in altri luoghi sacri della Grecia e del mondo greco, era consuetudine dedicare le armi conquistate al nemico o quelle dei singoli opliti scampati al combattimento.
Il primo dei due, del VII sec. a.C., per le sue caratteristiche tipologiche è stato ricondotto da H. Pflug al cosidetto “Gruppo di Myros”, così chiamato da un elmo col nome greco MYROS inciso sulla calotta: le pesanti ammaccature su di essa furono causate da colpi ben assestati, il paranaso e i paraguancia furono piegati in antico con l'intenzione di impedirne un uso futuro dopo la sua dedica al dio. Il secondo elmo, del terzo quarto del VI sec. a.C., fa bella mostra di sé al centro della sala e rappresenta la forma più sviluppata del tipo corinzio con una sporgenza al di sopra della zona orbitale che, dal punto di vista tecnico, serviva a rinforzarne la lamiera abbastanza sottile.
Nella parte posteriore ha un paranuca a profilo svasato nella faccia interna del quale è l'iscrizione -]ESIL[- forse da riferire ad un Arkesilas che offrì in voto l'elmo nel santuario di Olimpia.
Dal punto di vista tipologico questo elmo è di grande interesse perché congiunge la forma dell'elmo corinzio più tardo con la tradizione dell'elmo calcidese.
Esso sarebbe stato creato in officine dell'Italia meridionale, forse in una città fondata e abitata da greci calcidesi dove, con molta verisimiglianza, fu forgiato altresì l'elmo calcidese proveniente dal mare di Gela (VI-V sec. a.C.), esposto nella vetrina più grande a sinistra dell'ingresso, insieme agli elmi da Punta Braccetto. Il tipo calcidese si distingue da quello corinzio per lo stretto paranaso, i paraguancia di forma semicircolare che lasciano scoperte parti del volto e delle orecchie, il paranuca a profilo fortemente svasato.
La calotta è distinta da una carenatura a spigolo arrotondato come la cresta che, sulla fronte, si raccorda alla calotta, con una doppia curva convergente al centro.
Gli altri due elmi esposti nella prima sala sono rispettivamente un elmo di tipo apulo-corinzio della seconda metà del IV sec. a.C. e un elmo italico del VII sec. a.C. del tipo a bottoni e provengono dai Musei di Stato di Berlino. Il primo, tipico delle genti indigene dell'Italia meridionale e dell'Apulia appunto, è una sclerotizzazione del tipo corinzio in quanto non era calato sul volto del guerriero, ma era indossato a protezione della fronte e della parte superiore e posteriore della calotta cranica e fermato con una striscia di cuoio sotto il mento. Gli spazi orbitali sono qui ridotti a piccoli fori separati da un breve paranaso ormai perduto, mentre, sulla calotta, si vedono i resti di sostegni per un cimiero centrale e due pennacchi laterali. E' questo l'unico esemplare al mondo che reca incisa una scena mitologica: Eracle (a destra) in lotta con un centauro (a sinistra) tra i quali probabilmente Iolao, compagno dell'eroe.
L'ultimo elmo di questa stanza è un elmo italico che pare provenga dall' Italia settentrionale ed è databile al VII sec. a.C. circa. A forma di cappello con larga tesa, ha una calotta emisferica al culmine della quale sono due bottoni di bronzo che servivano anche per fissarne un rivestimento interno.
Elmi di questa forma erano diffusi nell'Italia arcaica fra l'Etruria e il Piceno a partire dall'inizio del VII sec. a.C. La seconda sala è tutta dedicata a cimieri prodotti in ambito italico e si tratta, per lo più, di reperti di norma custoditi presso i Musei di Stato berlinesi. Nella vetrina lungo la parete nord della sala sono esposti un elmo del tipo a gola ed un altro del tipo Negau dallo straordinario stato di conservazione e di cui si apprezza la patina dorata grazie al loro rinvenimento in acque fluviali o lacustri dove forse erano stati dedicati come preda bellica. Quanto al primo dei due, ne è ignoto il luogo di ritrovamento, ma si suole identificarne l'area di produzione nell'Italia centrale e in Etruria in particolare dove fu forgiato nel corso del IV sec. a.C. E' quasi certamente una variante tarda dell'elmo calcidese cui lo ricollegano i ritagli laterali per le orecchie e l'ampio paranuca a profilo concavo e lievemente svasato. I ganci laterali visibili su questo esemplare servivano per il fissaggio di un soggolo di cuoio. Sulla sommità della calotta è montato un anello mobile nei pressi del quale sono tracce della saldatura con cui fu fissato un sostegno per un cimiero centrale. Il secondo elmo è del tipo cosidetto Negau dal nome della località delle Alpi sudorientali (oggi Negova in Slovenia) dove fu ritrovato un gruppo di elmi di questa stessa forma.
Essa, sviluppatasi in ambito etrusco-italico a partire dal tardo VI sec. a.C., si diffuse largamente nell'Italia settentrionale e, in particolare, lungo l'arco alpino dove fu prodotto l'esemplare esposto.
Esso ha un profilo ovale, con alta calotta crestata, breve e spessa tesa con orlo leggermente sporgente e si data tra il IV e i II sec. a.C. Nelle due vetrine al centro della stanza sono esposti due elmi celtici del tipo a bottone terminale con calotta ovoidale allungata e rastremata terminante con un apice quasi globulare, in uso tra le genti celtiche dell'Italia centro settentrionale: essi rappresentano una delle tipologie di riferimento per gli elmi degli eserciti romani che combatterono durante la Prima Guerra Punica in Sicilia. Sempre nella vetrina al centro della sala sono presentati, infatti, per la prima volta l'uno accanto all'altro, i due elmi di tipo Montefortino rinvenuti rispettivamente nella Baia di Camarina e a Playa Grande (RG). Entrambi, pur con leggere differenze, presentano una calotta a profilo ovoidale rastremata in alto che culmina con un bottone tronco-conico decorato da doppia fila di linguette a rilievo: nella parte posteriore reca un paranuca lievemente aggettante. Quello da Camarina conserva ancora i paraguancia mobili, ormai perduti nell'esem-plare di Playa Grande. Ambedue si datano intorno alla metà del III sec. a.C. allorquando nel mare di Camarina avvennero, secondo Diodoro e Polibio, due memorabili naufragi (nel 255 e nel 248 a.C.) nel corso dei quali andò perduto un gran numero di navi e di soldati romani ai quali forse appartenevano gli esemplari in mostra.
L'ultimo elmo di provenienza berlinese conservato nella seconda sala fu rinvenuto nel fiume Kulpa vicino Sisak in Croazia dove era stato lasciato cadere da un soldato romano a metà circa del I sec. a.C. Si tratta infatti di una variante di età repubblicana del tipo Montefortino con una calotta emisferica poco allungata terminante in un bottone apicale di forma globulare e breve paranuca dove è incisa in latino la legenda SCIP IMP (Scipio imperator), che potrebbe ricondurre l'elmo ad un legionario di Publio Cornelio Scipione Nasica, pompeiano e avversario di Cesare, comandante militare nel corso della guerra civile degli anni dal 49 al 46 a.C.
Nella terza sala si è volutamente dare spazio ad alcuni capolavori della ceramografia attica conservati nel Museo Archeologico Ibleo di Ragusa e che per la prima volta hanno lasciato la loro naturale sede espositiva. Si tratta di quattro crateri a figure rosse, uno con scene di combattimento, gli altri tre con scene di vestizione di opliti e di due lekythoi, nella stessa tecnica, con combattenti in agguato. Essi riconducono, per immagini, al mondo delle armi dei Greci per i quali rivestirsi di esse non significava necessariamente andare in guerra, ma anche doverosa partecipazione agli agoni sportivi che contemplavano, tra le varie prove, anche l'oplitodromia, la corsa in armi che diventava per il cittadino della polis un'ulteriore occasione, in pace, per potersi distinguere nell'ambito del proprio gruppo sociale. In coda al percorso espositivo, un'ultima sala, volutamente arredata alla maniera di una classe di scuola materna, è stata, infine, destinata all'accoglienza di scolaresche della scuola dell'infanzia e primaria che volessero soffermarvisi per rielaborare graficamente le sensazioni determinate dalla vista degli antichi cimieri e decodificarle alla luce della lettura di un breve racconto e di filastrocche varie appositamente scritte da Lina Maria Ugolini e illustrate da Alfredo Guglielmino. Una mostra nella mostra, che val la pena di visitare, va considerata la rassegna di foto di Francesco Cocco sugli orrori della guerra in Afganistan e sulla nobile e preziosa attività lì svolta dai medici volontari di Emergengy presenti su tutti gli scenari della guerra moderna che, ovviamente, poco ha a che fare con la lotta contro il barbaro, l'amor di patria, la necessità di conquistarsi uno spazio vitale, l'onore, la gloria e la fama immortali che portarono Leonida e i suoi trecento Spartiati ad immolarsi negli stretti delle Termopili.
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