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Ragusa Sottosopra

n.2 del 06/04/2010

Le tracce di antichi culti nell'architettura rurale iblea

Gaetano G.Cosentini, storico

foto articoloL'esperienza e le tradizioni del passato hanno lasciato tracce che il tempo e gli uomini hanno modificato, ma raramente sono del tutto scomparse:dai vocaboli alla gastronomia,dalla religiosità alle consuetudini più o meno latenti.
Nel caso da esaminare si assiste ad una probabile continuazione di un antico rituale tra l'apotropaico e il propiziatorio, che oggi si presenta sotto mutate spoglie entro cui ritrovare l'essenza del passato. Nel ricco patrimonio dell'ar-chitettura rurale spontanea e nelle case di villeggiatura persino di inizio Novecento, in Sicilia, si ripeteva sistematicamente un tipo di decorazione di ingressi di stradine private o di ville agresti: due colonne con spazio per un'edicoletta con relativa cuspide. Il tempo recente ha fatto catalogare le suddette edicole nella categoria delle “fiurede”, ma ha fatto dissolvere l'impianto primario che si intravede in un particolare decorativo.
La grande eredità culturale greca si è stratificata nel processo evolutivo dell’ISOLA e con particolare predominanza nella cuspide sud-orientale; il fenomeno era stato ben sottolineato dallo scrittore britannico David H. Lawrence nella prefazione alla sua traduzione in inglese del romanzo verghiano “I Malavoglia”. Esistono segni evidenti del culto di Priapo anche in Puglia, nel Salento, in caseggiati rurali a Calmiera, a Matino, a Torre dell'Orso (provincia di Lecce) negli accessi detti in greco “poroi” (ingressi); anche a Malta, zona di Siggiewi, sono ancora visibili queste tracce. Nel mondo ellenico era divinità molto apprezzata la figura di Priapo, protettore di orti e di campi, anch'egli preposto alla continuazione della vita e alla sua salvaguardia. E' noto che anche la cultura latina perpetuò il culto diffuso tra tutti gli strati della società del tempo e sempre con la medesima iconografia, facilmente riconoscibile, come ad esempio negli affreschi pompeiani.
L'immagine tipo di Priapo era quella di un essere avanti negli anni, un po' trasandato, raffigurato con evidente manifestazione della virilità, proprio per la sua peculiarità di protettore della vita e dell'opu-lenza.
Negli orti si soleva porre un grosso legno di fico, con sagoma falloforica, che doveva servire ad assicurare prosperità alle coltivazioni e a far spaventare gli uccelli predatori: una funzione al contempo apotropaica e propiziatrice. Una chiara indicazione contro le “fatture” e quindi la necessaria invocazione al dio si trova in Diodoro Siculo IV,6,4: ed inoltre lo considerano colui che punisce quelli che fanno le malie; mentre in Plinio senior Nat. Hist. XXVIII,7,39 si fa riferimento all'azione protettiva di Priapo per fanciulli, imperatori e persino vestali. In Tibullo Elegie, I, 1 si legge che il poeta nella delicata ricostruzione di un serenfoto articoloo poderetto si augura che: negli orti da frutta venga posto come custode un Priapo rosso fuoco per atterrire con la crudele falce gli uccelli.
Una nota interessante si trova anche in Varrone, a proposito degli usi nuziali, in Antiquitates XIV, frag. 59, per auspicare prosperità alla coppia: nella celebrazione delle nozze veniva ordinato alla novella sposa di sedere sopra un fusto di Priapo.
In relazione alla diffusione del culto propiziatorio, dal momento che a volte le divinità con affinità si sovrapponevano, esiste una nota di S. Agostino, De civitate Dei 7, 21, in cui viene considerato osceno e poco rispettoso della morale l'uso devozionale fallico per Li-bero, dio italico della fecondità e del vino.
Infatti oltre alle processioni con i simboli suddetti, ancora nel 413, alle soglie della fine dell'impero romano, si perpetuava il rito di far sedere una donna maritata su un simbolo fallico per auspicare rosei giorni futuri all'interessata.
Con il tempo l'immagine del dio fu sistemata in tempietto in miniatura: una semplice edicola con la sua immagine sormontata da una cuspide appuntita, che vagamente richiamasse un oggetto fallico.
Nei piccoli accessi o agli orti o alle proprietà agresti la regola canonica era collocarne due uguali, quasi a rafforzare l'azione di tutela e devozione del dio degli orti. Il pericolo più immediato da scongiurare negli orti con i frutti da raccogliere erano le schiere di uccelli di diversa taglia che, dall'alba al tramonto, si nutrivano allegramente di frutta fresca: i nostri antenati li definivano genericamente “a farami”.
Probabilmente il termine ha una “origine” nella terminologia longobarda: nella memoria atavica i barbari erano i predatori per eccellenza per cui la voce “fara/farae”si adattava al valore semantico dell'espres-sione; infatti le “farae” erano gruppi familiari longobardi che venivano inviati per conquistare un territorio senza alcuna limitazione di azione e soprattutto di scorrerie e razzie.
Non dimentichiamo che i domini longobardi giunsero fino a Reggio Calabria, mentre in Sicilia ci sono aree in cui si ritrovano elementi linguistici di lontana derivazione proprio gallo-longobarda. Nei recinti degli animali, ad ogni angolo degli alti muri di pietra a secco, ognuno sistemava delle pietre erette a punta per ingraziarsi il buon Priapo e nel contempo per allontanare eventuali danni ai propri preziosi animali.
La nostra cultura del Sud-Est ha perpetuato la consuetudine collocando all'inizio degli accessi antistanti le abitazioni rurali, e quindi in prossimità di case di villeggiatura, più o meno sontuose, le edicole con la cuspide e parti sovrastanti più o meno appuntiti nella tradizione di un uso millenario.
Ma a questo punto bisogna tener conto dell'inserimento nefoto articolol tessuto sociale e culturale del Cristianesimo, che, se da un lato osteggiò il paganesimo, dall'altro se ne impossessò con opportune modifiche e adattamenti tanto da far apparire il tutto una consuetudine perfettamente ortodossa.
Il culto di Priapo fu condannato dalla Chiesa, ma il senso comune quotidiano trasferì alcune prerogative a nuove icone di santi, che a volte non erano nemmeno esistiti come S. Foutin nella Francia meridionale o in Bretagna S. Gilles; per non parlare in Italia di S. Cosma e Damiano o persino San Nicola. Per motivi di moralità e per non osannare il paganesimo la nuova cultura rimosse i simboli evidenti e sostituì il tutto con guglie appuntite, con punte in pietra o metallo o addirittura con croci sovrapposte alle edicolette che da allora ospitarono immagini di devozione cattolico-cristiana. I più abbienti o i più eleganti ricorsero a diversa iconografia che sotto mentite spoglie ripetevano l'antica simbologia, come ad esempio i carciofi o le pigne o i sontuosi vasi per ospitare fiori o più spesso cactacee. In alcuni casi sopra le edicole si posero acuminate guglie, di vario materiale, che assunsero la funzione di identificazione del sito: augghi (aghi).
Nell'agro modicano e nell'area di Palazzolo Acreide si riscontrano oggi contrade denominate ed identificate tramite tali ornamenti. A Bagheria, alla fine di una via molto importante, si trova una costruzione con due grosse punte litiche dette appunto “Augghia”.
Un esempio interessante si riscontra pure nell'odierna Slovenia, sul monte Tabor, nella chiesetta di S. Michele Arcangelo, un tempo punto di avvistamento per le incursioni turche. Si riscontrano qui, nei due pilastrini che sorreggono il cancelletto, due guglie lapidee acuminate per allontanare gli spiriti maligni e proteggere la zona e i suoi piccoli frutteti.
La tradizione religiosa-popolare aveva avuto una straordinaria rivisitazione in quanto nel 1781 una lettera di sir William Hamilton, ambasciatore di S.M. Britannica, presso la corte di Napoli, faceva riferimento al culto dei santi Cosma e Damiano.
Infatti nelle feste in loro onore si vendevano simboli di “parti generanti” virili sia come antidoto al malocchio sia per auspicare il “ritornar gravide molte donne sterili maritate”.
La prova del rinnovato modo di onorare Priapo non ammette dubbi nelle testimonianze già addotte rivisitate e adattate, ma sempre con il medesimo significato.
Dai pochi esempi riportati si ritorna nel grande patrimonio culturale che il tempo degli uomini ha rivissuto, modificato, adattato ai nuovi orientamenti socio-culturali, sempre nell'ottica di conservare la cultura antica ma con le esigenze delle circostanze cambiate; a noi l'impegno di farle conoscere per non perdere il doveroso legame con il passato.

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