Ragusa Sottosopra
n.2 del 06/04/2010
La facciata torre del Duomo di San Giorgio
Antonio Romano, storico dell'arte
La facciata torre e la "macchina da festa". Assonanze della teatralità barocca
Il prospetto del duomo di San Giorgio a Ragusa Ibla è considerato l'esempio più emblematico della facciata torre campanile alla siciliana o gagliardiana.
Il Gagliardi, grande esponente dell'architettura settecentesca in Sicilia, riesce ad elaborare una innovativa e rivoluzionaria soluzione compositiva di facciata che diventerà elemento caratterizzante nel profilo di diversi centri urbani del Val di Noto. Questa invenzione architettonica non è altro che la sintesi tipologica del prospetto piramidale a tre ordini decrescenti con l'inserimento della torre campanile, formando in questo modo un corpo edilizio libero e indipendente e quasi contrapposto alle altre parti della chiesa.
Molto si è discusso a riguardo, analizzando in maniera meticolosa quali potessero essere gli ipotetici modelli di riferimento e le possibili matrici tipologiche che hanno suggerito o ispirato il Gagliardi e gli altri architetti suoi contemporanei. Ad un'attenta analisi, già durante il corso del XVII secolo, riscontriamo nell'isola la presenza di questa tipologia compositiva attraverso alcune significative esperienze, quali le chiese guariniane, alcuni esempi di facciate chiesastiche nei principali centri dell'isola, i tabernacoli cappuccini e le incisioni dell'architettura barocca centro europea.
L'influenza dell'architettura di Guarino Guarini si manifesta a Messina attraverso le facciate di due singolari chiese non più esistenti: la chiesa della SS. Annunziata con prospetto concavo impostato secondo uno schema piramidale e quella delle Anime del Purgatorio che unisce la struttura piramidale a un telaio di colonne libere.
Inoltre, durante il corso del Seicento fino ai primi anni del Settecento esistono in alcune città importanti come Palermo (chiese di San Matteo e di S. Anna la Misericordia), Siracusa (chiesa dello Spirito Santo) e Acireale (chiesa di San Sebastiano) dei prospetti chiesastici considerati fondamentali anticipazioni tipologiche. Queste facciate, anche se concepite ancora come semplici cortine murarie e non come strutture indipendenti, sono organizzate in tre ordini decrescenti raccordati da volute e hanno una decisa propensione per il verticalismo.
Anche i tabernacoli lignei dei frati cappuccini, opere di certosino lavoro artigianale, risultano essere dei validi modelli di riferimento in scala ridotta. Essi, presenti ancora oggi nel territorio ibleo, se nel corso del Cinquecento hanno un prospetto piatto, costituito da due ordini sovrapposti, nel Seicento subiscono un'evoluzione, consistente in una struttura di tre ordini decrescenti con forte convessità nel partito centrale e nella presenza del telaio di colonne libere; da ciò si evidenziano concordanze compositive e linguistiche con la facciata gagliardiana. A tal proposito risulta fondamentale menzionare il tabernacolo ligneo di San Nicolò (1662), progettato da Guarino Guarini per la chiesa di San Zeno a Verona.
Esso risulta generato dalla sovrapposizione di tre corpi semicilindrici simili a quelli che compongono le chiese con prospetto a torre.
Di grande importanza risultano infine i trattati e le incisioni di architettura barocca mitteleuropea, considerati un efficace strumento di diffusione di idee e sperimentazioni. Essi testimoniano come la facciata torre fosse presente non solo nell'ambito della progettazione ma anche in diversi prospetti chiesastici di quella regione d'Europa. Ciò fa supporre chiare influenze stilistiche, giustificate dalla forte incidenza che la cultura austriaca ebbe in Sicilia durante il periodo di viceregno (1719-1734).
Le suddette argomentazioni rimangono soltanto delle ipotesi non supportate da una rilevante documentazione, ma comunque risultano valide ed importanti per gli studi sul tardo barocco del Val di Noto; inoltre servono da stimolo per un'attenta ricerca storico-artistica e per analizzare il materiale disponibile secondo nuove prospettive.
A questo punto tra le possibili matrici tipologiche mi sembra interessante e fondamentale richiamare all'attenzione le incisioni e i disegni di architettura effimera, apparati festivi assai diffusi a quel tempo nella cultura italiana e spagnola. Il lungo periodo di viceregno spagnolo (1503-1707) diventa importante per il Meridione d'Italia soprattutto per l'influenza esercitata dall'archi-tettura effimera in cui la teatralità, l'esuberanza barocca e l'opulenza stilistica iberica diventano caratteristiche ricorrenti. L'usanza di costruire le cosiddette “macchine da festa” subisce un forte sviluppo dalla fine del '500 fino alla metà del '700.
Esse vengono impiegate in occasione di solenni eventi che fanno parte sia della propaganda politica vicereale sia di quella religiosa; le manifestazioni possono essere importanti ricorrenze reali, civili, religiose e funebri, rappresentazioni teatrali, in genere feste di vario titolo e a grande partecipazione popolare. Questo dato diventa significativo in un territorio come quello ibleo in cui, ancora oggi, rimangono fortemente radicate diverse feste religiose costituite da rituali ciclici che fondono aspetti del sacro e del profano.
Gli apparati effimeri mostrano una struttura compositiva e un linguaggio architettonico che richiamano fortemente la facciata torre gagliardiana. Essi presentano un carattere decisamente ascensionale che si va ad assottigliare verso l'alto, mostrando più registri sovrapposti e una terminazione a bulbo. L'impaginazione delle pareti appare riccamente decorata e plastica grazie all'utilizzo sia di elementi architettonici come il telaio di colonne libere, i pinnacoli, l'architrave e la balaustra, che di elementi decorativi fantasiosi come ricchi bassorilievi e statue di ogni tipo. A questa opulenza decorativa si aggiungono i candelabri, per fare luce sull'intera struttura esaltandone il plasticismo, e gli appositi contenitori di polvere da sparo per azionare i fuochi d'artificio.
È attraverso questi due espedienti che si materializza la poetica dell'improvvisazione, dello stupore, della meraviglia, caratteristiche di un'archi-tettura barocca dinamica e teatrale.
Un esempio significativo può risultare l'incisione del 1666 che rappresenta la macchina da festa funebre o catafalco di Filippo IV progettata dall'archittetto F. A. Picchiatti per la chiesa di Santa Chiara a Napoli. Confrontandola con la facciata del duomo di San Giorgio di Ragusa, notiamo la medesima struttura piramidale costituita da tre ordini sovrapposti, il tema della colonna libera su alti piedistalli e la terminazione a bulbo con sopra la sfera e la croce. Un altro emblematico esempio è l'incisione di una macchina del “Fuoco Artifiziale” posta nella piazza del Castel Nuovo a Napoli per i festeggiamenti reali. Come si può ben notare dall'imma-gine, anche in questo caso la grammatica strutturale risulta vicina al prospetto della chiesa ragusana; tuttavia è interessante notare la funzione della scalinata che diventa elemento scenografico e nello stesso tempo funge da piedistallo, elevando in verticale l'intera struttura.
Da queste due incisioni si evidenza come una simile struttura compositiva già in pieno '600 fosse conosciuta e praticata nell'ambito del barocco napoletano da taluni architetti che, attraverso la progettazione degli apparati effimeri, sperimentano nuovi linguaggi architettonici ed espressivi. Queste esperienze appaiono davvero interessanti perché evidenziano valide anticipazioni tipologiche per la facciata torre.
Dalla cultura popolare delle macchine da festa si giunge alle guglie di legno e cartone, agli archi di trionfo ed infine alla guglia del barocco napoletano, dove avvengono la trasposizione del linguaggio dell'effimero nell'architettura e l'applicazione di una grammatica espressiva, sintesi di scultura e architettura.
Apparati fastosi e festosi, segno di rinnovamento, le guglie rappresentano l'affermazione della definitiva conquista di uno spazio rituale e sono destinate ad esorcizzare il pericolo dell'eruzione e della pestilenza. La popolarità della guglia ne farà il punto di sosta obbligatorio dei percorsi processionali, il centro delle rappresentazioni sacre e delle luminarie, in altre parole, la “macchina” che sostituisce, di forza, tutte le altre.
In questo modo può essere utile il riferimento alla conoscenza delle guglie del barocco napoletano, realizzazioni di arredo urbano, che costituiscono un interessante precedente tipologico rispetto alla facciata torre gagliardiana. Questa ipotesi è sostenuta dall'influente ruolo culturale che riveste Napoli come capitale del viceregno e importante centro barocco e come grande cantiere di sperimentazioni e innovazioni architettoniche, ma soprattutto è avvalorata, se consideriamo che la datazione del progetto gagliardiano per la facciata del duomo di San Giorgio (1738-39) è posteriore rispetto alla costruzione delle guglie napoletane: guglia di San Gennaro (1637-60), guglia di San Gaetano (1657-70), guglia di San Domenico (1658-59, 1664-66).
La grammatica strutturale espressa in queste architetture assume un aspetto definitivo e maturo nella guglia dell'Imma-colata (1745-58), che nella sua struttura architettonica si avvicina in maniera netta al prospetto della chiesa ragusana.
Le corrispondenze esistenti tra i due monumenti possono evidenziarsi nel carattere ascensionale, nella sovrapposizione degli ordini decrescenti verso l'alto, nell'uso di cornici o balaustre tra un ordine e l'altro, nell'articolazione mossa delle pareti, nella presenza di statue e di volute spiraliformi di raccordo, nella cuspide e in tanti altri piccoli elementi decorativi. Concludendo, si può notare come nel prospetto del San Giorgio l'architettura diventi rappresentazione del rispecchiamento e “scrittura” dei numerosi condizionamenti esterni. Uno di questi è il linguaggio dell'effimero allestito ed esaltato in questa mirabile facciata che, attraverso le sue componenti strutturali e stilistiche, quasi come una sorta di macchina da festa portata dai fedeli in processione, esprime l'essenza della teatralità barocca facendo da fondale o da quinta scenica al teatro del quotidiano.
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