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Ragusa Sottosopra

n.4 del 31/07/2009

I segreti della tavola di Montalbano

foto articoloUn'indagine sull'universo gastronomico di Andrea Camilleri raccontato attraverso il commissario Montalbano.
Un modo stuzzicante per rappresentare la Sicilia attraverso i suoi odori e sapori

Nella letteratura in giallo il cibo non ha mai un ruolo marginale: esso è anzi un ingrediente fondamentale per generare nel lettore quel “pititto” che lo induce a divorare le pagine del romanzo, stuzzicato dalla curiosità di scoprire l’esito delle indagini, di sapere chi è l’assassino.
L’esordio della prefazione al libro di Stefania Campo “I segreti della tavola di Montalbano - Le ricette di Andrea Camilleri” (ed. Il leone verde) introduce il concetto di fondo su cui è costruito il testo: quello del “pititto”. L’autrice ragusana, dei 19 romanzi scritti da Andrea Camilleri sulla saga del commissario Montalbano, come un filo d’Arianna, segue la narrazione rintracciando e intessendo tutti i dati legati alla passione per le pietanze siciliane del famoso commissario, i luoghi del cibo e della tavola, gli odori ed i sapori che fanno da sfondo e da contrappunto all’evolversi degli eventi e degli stati d’animo e descrivono storie personali, personaggi, ambienti, memoria.
Ne viene fuori un libro intrigante, frizzante, leggero che è stato presentato recentemente, con un buon riscontro di pubblico, alla fiera del libro di Torino. Stefania Campo inserisce le ricette della cucina di Montalbano, ben 58 tra antipasti, primi, secondi, verdure e dolci, per costruire un altro piano di narrazione che parla di cibo, linguaggio universale, atto rituale di tutela ed esaltazione della vita. Ricette che sono fortemente identificative di una Sicilia ammaliante, tradizionale, sensuale, carica di tesori e contraddizioni. Le pietanze delle donne siciliane, come quelle iblee, rappresentano un richiamo irresistibile alle proprie radici da offrire al mondo.
“Perché non resta a mangiare con me? Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite. “Veramente avrei tanto da…” “Pina, la cammarera, è un’ottima cuoca, mi creda. Oggi ha preparato pasta alla Norma, a quella con le milinzane fritte e la ricotta salata” “Gesù”, fece Montalbano assittandosi” (Il ladro di merendine). Ecco il rapimento, l’emozione, l’affetto che provoca certo cibo, quello preparato con sapienza, con dedizione, tramandato da generazione in generazione, quello che nutre non solo il corpo ma anche la mente e l’anima.
Gradevolissimo il capitolo “Commissari a tavola”, simpatica disamina dei personaggi più famosi della letteratura gialla a rapporto con il cibo.
L’investigatore Pepe Carvalho, il tenente Ezechiele Sheridan, il commissario Maigret, Nero Wolf sono solo alcuni dei più celebri segugi che alle loro indagini uniscono immancabilmente cibo, vino e donne. Il gusto per la buona tavola assume sempre il valore di metafora dell’agire investigativo, e non a caso è proprio di fronte ad un buon piatto che si collocano le scenechiave dei romanzi gialli.
Al cibo si lega la riflessione,il silenzio, la serenità, la buona disposizione d’animo, la gradevolezza del contesto. “U pitittu” può andare e venire, dipende dalle circostanze, dagli accadimenti giornalieri. Se gira storto la sacralità del godimento che dona un buon piatto svanisce. Il cibo è un piacere che esige concentrazione e affidamento: “La sera avanti, trovate nel frigo delle acciughe freschissime accattategli dalla cammarera Adelina, se l’era sbafate in insalata, condite con molto sugo di limone, olio d’oliva e pepe nero macinato al momento. Se l’era scialata, ma a rovinargli tutto era stata una telefonata”. (La voce del violino). Per trarre appagamento dal cibo bisogna essere in pace con se stessi, quando non è così il cibo può far male, creare “fastidi”, essere indigesto come molte “camurrie” che costellano inevitabilmente la vita di ognuno.





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