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Ragusa Sottosopra

n.1 del 06/02/2009

Appare di notte a Timpa ro Nan(n)u a ricordarci che siamo iblei e ricchi di storia

foto articoloL'installazione dell'artista ragusano Franco Cilia scruta silenziosa la città e sorprende lo sguardo la sua presenza misteriosa

Maestro Cilia, intanto le chiedo perché ha voluto ribattezzare a Timpa ro Nanu chiamandola a Timpa ro Nannu

Non ho voluto ribattezzare la grande sfinge che circonda Ragusa modificandone il nome, da Nanu a Nannu, ma ho ristabilito la verità delle cose per come mi è stata tramandata dal mio vecchio padre. La leggenda che io conosco la vuole “Nannu”, ma è anche vero che altre leggende legate al mistero antropomorfo della timpa abbiano dato altro nome. U Nannu, mi sembra più protettivo, sa di antenato. Nanu male si adatta tra l'altro, vista l'imponente mole della sfinge. In più potrei accennare al fatto che molte parole dialettali ragusane manifestano una contrazione fonica sillabica come ad es. “nessuno” che in dialetto diventa in generale “nuddu” e in ragusano “nudu”, oppure “quello” che in dialetto diventa in generale “chiddu” e in foto articoloragusano “chidu”, ecc. Lo stesso potrebbe essersi verificato con la parola “Nannu” diventata “Nanu”. Ma, al di là delle diatribe linguistiche o dialettologiche, l'importante è amarla questa maestosa opera d'arte, che nessun museo può contenere, che appartiene alla collettività ragusana come sentinella silenziosa che scruta la città, aiutata ora nel suo compito dalle “presenze” silenziose che ho installato ai suoi fianchi.
So che per tanti anni ha osservato questo pezzo di roccia percependola sempre come un'opera d'arte naturale. Oggi questa sua idea è diventata un’installazione. Cosa aggiunge la presenza delle sagome e lo squarcio di luce sul profilo nero di pietra?
Correvano gli anni Sessanta, quando incominciai a studiare, con la complicità dei racconti assimilati durante l'infanzia, questo luogo misterioso, che si diceva contenesse tesori nascosti nella sua cavità e che sarebbero stati conquistati da chi cavalcando un asino bianco sarebbe riuscito a danzare sullafoto articolo sua testa. Solo allora la grande bocca “ro Nannu” si sarebbe spalancata per consentire al coraggioso di inoltrarsi nei suoi meandri, e se, dopo cruenta lotta, fosse riuscito a uccidere “a culovra” (grande serpente dalle fauci infuocate), custode del tesoro, solo allora, “u Nannu” avrebbe consentito che si trafugassero i forzieri ricolmi di oro e diamanti. Narrano i venti della leggenda che nessuno è riuscito nell'impresa. Il tesoro è ancora lì, custodito dalle”presenze” (dette “patruna rò luoco”), a cui ho dato vita corporea e visiva nelle ore della notte. Esse sono testimoni di antiche leggende che cercano i nostri occhi e la nostra fantasia. Avrei potuto realizzare molto prima questa installazione, ma ci voleva un sindaco coraggioso e lungimirante che credesse nel mio progetto. Dipasquale ha dimostrato di avere questa qualità, così è diventato possibile quello che per decenni è stato impossibile. Sia chiaro, non dico questo per piaggeria, chi mi conosce sa che sono avulso da talfoto articoloi comportamenti, rendo semplicemente merito a chi ha mostrato di meritarlo.
A Timpa ro Nanu sembra essere “l’opera che non c’è”. Solo la notte la rivela. Come un'astronave che sta per atterrare inchioda la meraviglia dello sguardo. Avulsa dal contesto, sospesa in un cielo nero o navigante in un mare buio, sembra non appartenerci. Invece ci appartiene da sempre questo sperone di storia. Potremmo considerare la sua installazione un richiamo prepotente per allenare la vista, per vedere finalmente cosa ci circonda, dove siamo nati, le testimonianze di quello che è stato, la bellezza sotto il naso che ignoriamo?
Mi piace come lei descrive “u Nannu”, cara Morgante, sì un'astronave che ci riporta alle origine perdute e a quella appartenenza alla terra Iblea così ricca di fascino proprio per essere terra di colori e di pietre antropomorfe, unica nel contesto dell'isola. Il paradosso è che chi ci viene a trovare sa guardare con gli occhi del cuore e dell'anima quello chefoto articolo noi non vediamo, forse perché diamo per scontato quello che abbiamo sotto il naso. Può essere un mezzo questo mio lavoro per riscoprire parte di noi stessi? Sarebbe un bel risultato, a volte i miracoli accadano; perché chiudere la porta alla speranza?
L'opera è conclusa o l'installazione è ancora aperta?
E' aperta perché mancano piccole cose per rendere il tutto ancora più misterioso, affascinante e duraturo. Ma sopratutto spero che non manchi quel “rispetto” che l'opera d'arte merita. Ora saranno in molti quelli che vorranno vedere da “vicino” u Nannu, ma questo sarà possibile solo se il flusso verrà regolato e veicolato con opportune guide considerata l'insicurezza del percorso che può esporre a seri pericoli chi si avventurasse con leggerezza nel sito. Infine, ritengo che sarebbe opportuno che la zona sia videosorvegliata per impedire a eventuali vandali di danneggiare quello che con tanto amore e fatica abbiamo costruito.

Intervista a cura di Faustina Morgante

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