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La cava, e sopratutto il tratto che corrisponde con la più antica parte del centro, ovvero quello compreso tra la Villa Margherita e il Ponte San Vito, è da individuarsi come una zona che per secoli, e fino a non oltre quaranta o cinquanta anni fa, era fortemente produttiva.
Era, la Cava Santa Domenica, una “zona industriale” ante-litteram, lungo la quale si sposavano perfettamente due delle tre più importanti attività “primarie” della Ragusa antica: la produzione agricola in-tensiva, massimamente quella orticola, per via della possibilità di perenne irrigazione grazie all'acqua del torrente che vi scorre anche impetuoso durante l'inverno, e poi l'estrazione, e conseguente lavorazione, della pietra bianca calcarea da costruzione.
Quelle enormi grotte che ancora oggi possiamo ammirare, le latomie, gemelle delle aperture della parallela Cava Gonfalone, sono infatti quanto rimane di una florida attività mineraria.
La roccia calcarea bianca si estraeva col metodo dei “pilastri abbandonati”, ovvero cavare una ventina di metri in lunghezza e lasciare poi almeno setto o dieci metri di pilastro per sostenere il soffitto della grotta. Un metodo utilizzato da tempo immemore anche nelle gallerie di Tabuna a sud della città, dove ad essere estratta era la roccia bituminosa, ovvero l'asfalto.
In alcune delle enormi latomie della Cava Santa Domenica erano state costruite alcune grandi “carcare”: servivano alla produzione della calce (prodotto un tempo fondamentale, e non solo nell'edilizia). Si tratta di recinti normalmente circolari, fatti di pietra “viva”, cioè il calcare duro, quello cristallino.
All'interno il “carcararo” caricava, cioè accatastava pezzi non molto grandi sopra un cumulo di legna e carbone; dopo aver raggiunto una determinata temperatura, e per un certo periodo di tempo, ne otteneva la calce.
Di quelle “carcare” ne esistono ancora due o tre ben conservate all'interno delle latomie di Cava Santa Domenica e, insieme agli antichi colpi di piccone, ai pilastri fessurati, allo stillicidio dell'acqua che proviene dalla città soprastante, formano un ambiente davvero unico. Un microclima stabile, umido e mai eccessivamente caldo né freddo. Una vegetazione che arriva fin dentro le grotte, fin dove arriva la luce solare, che è poco definire lussureggiante, con piante enormi, noci, fichi, mandorli, ulivi e carrubi e poi, fatto singolare ma fino ad un certo punto, anche i “relitti” di antichi vivai, di passate coltivazioni: fiori e piante rinselvatichiti.