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Ragusa Sottosopra

n.4 del 26/07/2011

Le favole vere di Elvira Ferrara

Giuseppe Nativo, giornalista

foto articolo

Colore e segno in perfetto equlibrio tra sensibilità e pittura


Sensibilità e pittura. Un tandem perfetto che traspare nelle opere di Elvira Ferrara. Un gemellaggio avvenuto sin dagli inizi della sua formazione e che procede nell'itinerario creativo dell'ar-tista, e in modo assolutamente spontaneo, complementare e interattivo: dove la pittura è luce, la sensibilità ne è l'energia elettrica, la scintilla, l'espressione interiore. In buona sostanza, dove la pittura è manifestazione, la sensibilità ne costituisce la spinta emotiva e creatrice.
Sono queste le coordinate, le colonne portanti su cui si basa, sin dal 1969, la crescita e maturazione artistica di Elvira Ferrara.
Una delle prime doti che si rilevano in un vero artista è rappresentata dalla capacità di evolvere, mutandolo, il proprio linguaggio. Nel 2010, periodo particolarmente intenso dal punto di vista umano e difficile per gli intimi percorsi della sua anima pittorica, la creatività foto articolodell'artista ha subito un forte impulso come se nuova linfa la ispirasse.
E' un approdo raggiunto al termine di uno studio iniziato da molto tempo. “Ho cambiato tecnica - rivela la pittrice - e il colore è reso protagonista principale delle tele, cosa che prima non predominava. I soggetti partono dalla realtà, l'impostazione della composizione è geometrica e su questa immergo le figure”.
Le tele di Elvira Ferrara, tutte in acrilico, sono realizzate con pennellate decise ottenute con sapiente maestria. Esse catturano l'osservatore immergendolo in una dimensione di pregnante luminosità dove tutto sembra improntato sulla immediatezza, mentre è frutto di una applicazione rigorosa, di un esercizio continuo e controllato: come un attore che prova ripetutamente per raggiungere la spontaneità e genuinità dell'ultima recita. Ci si chiede quali corde vanno a toccare le opere di Ferrara: sicuramente un luogo, un'area della psiche che è punto di incontro tra emfoto articolootività ed intelligenza.
I paesaggi, i soggetti si ornano di una sorta di mise en scène che va oltre la rappresentatività formale. Le componenti geometriche, le linee, le curve, che sia pure in maniera delicata e armonica attraversano le tele sono determinate dalla necessità di rimanere dentro la misura della razionalità.
Eppure la componente geometrica avviluppa ogni cosa in una forma espressiva che trae linfa da una caleidoscopica cromia di cui l'occhio rimane attratto in quanto stimolato da un vivo senso di vitalità percettiva. Le linee sembrano quasi agitarsi, vibrare, pulsare sulle tele e ciascuna di esse è un momento vissuto che tuttavia non si dà come stinta memoria ma come percezione interiore, immediata, che talora attinge al movimento (come nella tela dedicata alle rondini) o a sensazioni di “caleidoscopico” infinito (tela dedicata alle farfalle). Quattro i temi affrontati.Le Marine, finestre aperte sul Mediterraneo, su quella pafoto articolorte di costa iblea sud-orientale, dedicate al mare d'estate di Donnalucata (borgo “circonfuso di limoni e mare”, così Leonardo Sciascia), accarezzate da spumeggianti acque dal sapore saraceno e gravide di voci e di ricordi (“Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni”, così Giovanni Pascoli); le Afgane, donne invisibili nel corpo e nei diritti, con la speranza soffocata negli occhi ma, in quanto donne, con il cuore che batte in tutto il mondo (“...vedo le mucche dalla finestra: loro vanno fuori, io non posso. Se lo facessi mi ucciderebbero. E nessuno si chiederebbe perché”, la Repubblica, sezione Esteri, 20.07.2010); poi le tele su Natura morta, in cui le composizioni di frutta sono colte nell'immediata fragranza del loro apparire e poi restituite nella forza dell'impianto cromatico. Infine, Bronte, cittadina incastonata tra le falde occidentali di Mongibello (dove si può godere “...la più meraviglfoto articoloiosa vista dell'Etna...”, così Giuseppe Cimbali, scrittore, giurista e filosofo brontese del secolo XIX), capitale del pistacchio (raccolto da “...arbori vecchi e sia fresco e verdeggiante, è migliore delle amandole...”, così Castore Durante da Gualdo, nel “Tesoro della sanità... della natura de' cibi, et de remedij de' nocumenti loro”, Venezia 1646), ripresa in un suo scorcio rivisitato attraverso una dimensione in cui il colore e segno si supportano vicendevolmente in effetti di grande piacevolezza cromatica e di forte suggestione narrativa.
E' questa la “poetica” pittorica di Elvira Ferrara.
Una volontà di comunicazione visiva, di rappresentazione del vissuto, tra linee, curve, eleganti cromie caleidoscopiche in cui tutto s'incrocia: quadro dentro quadro, pupilla dentro pupilla, verso una percezione globale dove il senso neo-optical si espande sino ad animare i soggetti raffigurati coinvolgendo, in perfetto equilibrio, l'occhio ed il cuore.

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